lunedì 17 dicembre 2018

Il Mostro - sei quello che mangi

L'Orso non sanguina ma i suoi artigli le dilaniano il cuore, la vista si annebbia di più mentre la familiare sensazione di annegare nel proprio sangue la strappa dolcemente dalla coscienza e finisce, senza volerlo, per abbandonarsi tra braccia pronte a strapparle la vita di dosso. Vorrebbe dirgli che non finisce qui, che ci sarà giustizia e giusta retribuzione, e sarà veloce, e sarà equanime, e sarà impietosa.
Ma quando apre bocca non esce alcuna voce: solo altro sangue.
Vorrebbe dirgli che questa non è la fine.
Ma la vista comincia ad appannarsi.
In qualche maniera, non è la fine.
Solo l'inizio.

"Il mio impegno riguarderà la sicurezza degli americani e far sentire la vicinanza alle forze dell'ordine che rischiano la vita per mille dollari al mese e non meritano di essere prese in giro dai balordi che entrano ed escono dalla SandMachine. 'Sicurezza' sarà una delle nostre priorità. Comprensione per la gente per bene, controllo severo per chi infrange la legge [ ... ] .
Ho già parlato con il ministro, gli ho detto che bisogna prestare attenzione ai 5 miliardi di dollari che spendiamo per mantenere le spese mediche dei superumani. [ ... ] Avremo un approccio culturale leggermente diverso..."
"Senatore Clark, cosa dice a chi mette in dubbio il suo discernimento in merito alle sue vicende familiari?"
"Vi dirò quello che vi ha detto un mio caro amico una volta, subito dopo la guerra di Magnus: dobbiamo essere forti. Dobbiamo essere determinati ma sopratutto dobbiamo restare uniti. La giustizia sarà rapida. Sarà equanime. Sarà una giustizia senza pietà, ma [ ... ]


Il volto del Mostro è freddo, non le sta rivolgendo parola, non la sta nemmeno guardando. Deve essere qualcosa che ha detto, qualcosa che ha fatto, ma sicuramente: qualcosa che ha sbagliato. 

Rimane a pensarci per ore mentre intanto macina rabbia, macina rancore perchè dentro di sè sa che non ha fatto nulla di male, se lo ripete così tante volte che finisce per crederci, per assordarsi con il grido d'ingiustizia che le brucia dentro come la febbre che non s'asciuga mai che la costringe a seccarsi (cavarsi) gli occhi per non farsi vedere mentre piange, per non far vedere quanto è debole.


[... ] Su una bacheca sull'ultimo lato dell'unica stanza che compone quello che un tempo doveva essere stato il rifugio anti raid di un qualche paranoico dell'apocalisse, invece, il caos ordinato di tutta la sua vita: foto di lei più o meno ragazzina con altre persone, foto di estranei sbiaditi e sorridenti, studi sugli alieni di Magnus, dei campi di battaglia, quello era il Battlefield?, ancora una foto di lei (una ripresa che sembra scientifica più che artistica) con quelle che sembrano escoriazioni ossee naturali che fuoriescono da lacerazioni della sua pelle (una sorta di corazza?); e poi, quello che una volta è un angolo è diventato oramai tutto un lato della parete, straborda dalla cornice: articoli di giornale, una mappa con una marea di puntine luminose sulla North, l'esplosione allo Shamrock, foto dell'Orso, qualche atto legato al suo processo, il suo volto severo. L'Orso, l'Orso prende sempre più spazio, sempre più attenzione;c'è Zhdan, certo, ma sembra quasi un personaggio secondario nei pensieri (negli incubi?) della vigilante, prende forme diverse: prima è Matt Baker con il suo sorriso debosciato e innocente, poi è Raul Vazquez, il Mastino, tutto il Sindacato, la mafia - è un cattivo da fiaba come il suo nome suggerisce, il lupo, il Mostro, l'ossessione.

La sua.

E dopo che tutto è stato bruciato da questo gelo spaventoso non rimane niente, perchè alla fine dei conti sei quello che mangi e Iphigenia si è nutrita di veleno e di rabbia, e ora ha ancora fame, come il mostro cattivo delle fiabe.

mercoledì 12 dicembre 2018

to Shelter the desert

Le macerie sono calde e fumanti. Un'infermeria sporca di sangue, le scale del porticato, il soppalco del sottotetto, una cucina dal frigo sempre vuoto, lo Shelter è distrutto.
Tutto è a pezzi.

La notte sembra essere più adatta per bisbigliare le proprie confessioni e non accennarle solamente, anche se non sembra ancora ben inteso la vastità di tutte le ipotesi che Caleb può aver valutato fino ad adesso. Ci sono dei tramezzini orrendi ma gustosi con un avocado che sembra più marroncino che verde, la prima cioccolata calda della stagione - non hanno trovato i marshmallow, ma le caramelle mou andavano bene comunque, alcool scadente, energy drink e un game boy advance su cui da prima tenta di far gonfiare un personaggio a forma di sfera rosa che mangia i propri nemici. Muore in continuazione, e muore di nuovo quando le parole di Caleb la riportano alla discussione, ai pensieri di prima.
- Ahn...
Si morde il labbro, sofferente, poi si decide e parla così veloce che sembra si debba strappare un cerotto.
- Lo dovevo dire a qualcuno.  NonlodireaJenny
Si affretta a tentare di fargli giurare di mantenere il segreto.
- Non lo dire a nessuno.



H̼͗̇́ò̴͇̩͖͗p̯̒̀e͇̫̗̠̙͍ͯ̋̊ ̮̞͕̭̈̏ͬ̕W̪͍̩̜ͩ̓ͅi̻̬̳̞̍̀̊̽ͤ̚l̙͖͙̘̳̥͍̆̓̀ͨľ̗̗͔̠̪͐̅́͒ͭ̂s̺͈̊̆͆̊̔ͤ̉͢o͉ͬͫ͆̄ͫn̖͉̗͗ͯ̄̑̓̽,̙̜̦̻͈̠̩ͪ̆̏ ̯̻̠͍͊̈́q̣̅ͣ̋͗̌̚͞u̦̜̔̿̃ͭaͩ̀̇͂ͭt̘́̇͟t̤̯̰̔̂̓͠r͋̅ͥ̓o̴̩̟͖̐ͅ ̲͕͑̃͐͊͡ṃ̥̼̖͍̙͉̓̌̚̚͝ĕ̗ͬͧ͛̆s̡͓͙̘̋i͛̒͆͛̍̔̀ ͔̪̮͓̳͙͆ͨ̑r͇͎͉̖͕̝̻i̎ḑ̥̤̬̺͇̋͋̊͛̑eͤ̊ͤ̀ ̸̝̻͔̋̇d̼͋ͥ̎ͧ̕e̥͖͓̺ͨ̓͆ͨ̈̍̿ͅl̰͇̝͍̦̱ͬ͜ľ̛̝̯̯̻ͤá͇̩̕ ̥̻̻͙͕͗ͥ͑̆̈́̽́ͅg̛̽͒̑̐̔̽ͤr̴̺̬̖͓̱̼̲̈́͋̉̓ͭ̂̚o̭̓ͣ͝s̴͚͕̟̭s̫͔͎̼̋ͭ̓͋͗a̦͕̝ͧ̓̀ ̎ͪ̍̆ͮ͋͑e̶͔ͨͬ͆ͥͮͥ ̫̼̹̘̽̑̈́̿ͩͩ̋s̼͈͈̤ͩͬ̇p̼̣̠̘̳̲̩̀̉ͣ̓a̘̻̗͙̲r̡̜ͬ̓ͦͬ͒̈́͂g̺̺̮͙ͥ̅̅ͧ̈ͅe̮̟̺̋̆̉͐ ̧̖̰̟̳ͯͅd̤͉a͕̥̻̙͖̿͌́̔ͣ̈́ͅͅp͙͇͓̺̎p͕̠͌ͮ͆͒͛͐̂è͎̟͋ͪ͘r̮͎̖͈̣ͯ̽t̨̲̳̯͙͍̽̔̑̌̈́͊ͮu̺͇̫ͬ̌̂̿ţ̖̪͚ͤͮ̄́͗ͩt̶̝͓̖͓̱̎͊̌͐o̲̬̝͙̭̥͐͒̊̽͐̊ ̜̃̒ͭͧͫ̃͗͜l͑̓ͧͯā̖̘̫̘̅͆ ̲ͨ̊̅ͬ́p͕̗ͮͭ̑ͨ͂͋a̾ͥ̉̎̒͌̀p̱̫̮͚̩̟͍p̞͐ͪ̆́i̸̝̯̾͒͒̆͌͋n͒͒͛͏̩̰̜̖a̫̼̳̪ͯͤͩͨ͌͠ ͓̯̱̒̔̈́̀c̟̲̙͝ͅḥ̴̗̻̳̈́̎ͤę̖̿͗͐͑ ̠̩̫̰̺̤͔͛͌ͮ̇̚͡I̫̘̮͕̞̮͆̂͐p̛͔̺h̻̠͕̭͉i͚̖̟̺̯̪͛̔͆̀̃̿g̴͇̠͚̙͍̽̐ë̺̤͔͇̪͚̺ͩ͛̓̉̏̆n͕̥̣̆͐͜ͅi̠ͥ̎̈́ͯ͒͒̚a͊͊̒̏̑̆͐ ̲̱̟̼͌̄̃͡h̷̹̒̓͒a̳̞̹̯͉͂̂͂̔ͫͮ ͍̲͉̅̾̃͘p̢̥̞̠̊̾ͪ̈́ͨ͂ṙ͕̅ͣ̿ͬ̚͟e̵͙͍͇̣̓̆ͫ̒p̫̰͎ͪ̐ͬͦa̬r̨̬̻̓a̫̮̟͖̪ͯ̆ͨ̇̈t̺̳̖̘̒͟ǫ̞͍͊͐͛ ̺͓͖̑͆͂ͫͥ͑ͬp̸͔̟̓̑̉̐ͧͪ͐e̞̭r͇̱̣̺̘͇̀͒ͦͭ͒ͣ͟ ̩ͣ͆͊̄ͩ͆l̩̩̬͕̯̦͖̎̎ẽ͑ȉ̷̩̞̰̞ͅ

muovendo i fianchi di I want you to be mine, senza calzoni e senza scarpe, agitando i capelli come una ragazza immagine da discoteca, muovendo la testa e abbandonandola a tempo di musica, chiudendo gli occhi fino a che non sente il distinto click della fotocamera di un cellulare che la inquadra già da qualche secondo. E quando li apre, ballando ancora, lui è lì contro la porta come i duri del cinema di bulli e pupe, bello come il sole, Galen Grace dal sorriso che fa allontanare impaurita perfino la guerra.
- Mi serviva proprio un nuovo salvaschermo.
Lei gli risponde agitando il dito medio che si passa sulle labbra come un rossetto, ride, fa la scena, e

H͇͖̼̐ͪ͞o̜̺̙̬̬̱̒͒̈́́̒̌̈ͅp̢̺̟̩̱̤̈̏e̸̬̲̟̱̒̐ͩ̊ ̳͚̠̘̳̠̫̍ͣ̏̽̇͂ͦẄ͔̗̆̔ͯi̡̻̊́̈͆͐ͮl͇̖͍͇̱ͨ̀l͚̘s̀̀̚͏̹̯̠͓ͅo͎̥̠̲͎ͯ͛̈́̐ͧn̏ ̫̹̘͕̙̝͌r̗̳̬͎̜̝̰̿̈́̓i̛̝ͪd͕̩̉̀ͣ̎ͮ͟ȩ͇̹ͣ̚ ̻͎̪̣̺̜͙͌̇̈͂̆c̢̘͈͗͒ͯͯo̟̿n̯̺͓ͨ̚ ͓̘̫͓̊ͦl͖̥͚̤͡o̰̜̞̼ṟ̷̞͕̣̝̜̇̆ͦ̐͒͑o̰͈̮͎ͥ͋͐͂ͤ ͇͔̮͔̳̠̃m̦͍͓̭̒̽̓ͭ͘ḙ̠͔̩̠͊ͅn͍̥͔̟ͩt͂ͬr̙͖ͮ̋̊e̖̤͔͖͚̪̎̉̉͠ ̤̗̈́ͩͣͬͯͅȉ̼̻̖̚l̛̞̩̪̣͙̖̔̄̉̔̇ͥ̂ͅ ̧̬̪̘̅͒ͯ̀ͬ̚m͍̥̦̣͓̝̏̅i̯̖̳̝̹̪̋̆̂ͅs͍̝͒͜t̟̺͙́i͘ċ̰̖͙́ͪ̽ͮ̀ͅo̴͚̙̯̱̜̮͌́̐ͩ͆ͅ ̵̬̟̼̟̩̳̻̈́̌̐͐̑͒l͕̥̩̙̼͆ͅe̮̅̐ ̬r͔͈͖̳̟̳̽͌̍̑ǎ̴͖̅͐ͫ̎̿̔ģ͕̦̹ͦ̋̒̎̆ͯͅg̾͗̄̿̆̏i͍̣̳̤̭̪͕̎̐ͬ͢u̥͈̜̗̙͕͒͆ͪn͇͇̝͉͙̜ͥg̖̫̙͕̤̭ͮ̅͗͗̀ͅe̤͔̾ ͙̖̣͙͍͈͋̔͂̉ͥ͢p̮͚̟̜͚̓ͣͥ̉ͨeͯ̄͌͊̔͒̅rͥͣͫ͐͂͑ ̻͉̻̤̥̻̫́ͩc̈́ͧ͗͛o̻͒͒̇͋ͫͤ̚͞ͅn̗̮̊͢ṯ̻̳̙̙ͭ͝i̎̕n͈͇͖͈̯̮̣̐͑ͨu̹̤̲͈̣ͅȃ̞̦̊ͩȑ̩̖̭͓̺ͫ̊ͥͥ̆̊ẹ̷̮̳̹͖̫ͬ͊ͫͣ̂ ̟͑̃̀̅ͮa̴̜͙̐ͫ ̑̕b̏͊̐ͣͣ̐́ąͬͣ͌ͤͯl̬͖̹̮̦̦̋́ͧ͡ͅĺ̦̞̠͇ͪ̿ͧ̈͞a̼̭̙̟͒ͫ̕r̗̠͙̳̆̓͋ͬͭ͊͛͘ͅe͐ͦ̂ͬ.̘̝̻̈́ͣͤ̆͌



- Eff, questo è divorziato e c'ha una figlia, sembra proprio il tipo tuo.
Il sorriso colpevole di Iphigenia è l'unica risposta che serve ad una domanda del genere e Clem e Eugenie all'unisono, Scilla e Cariddi dalle gambe intrecciate tra di loro, iniziano a prenderla in giro con una sola voce.
Stanno controllando se questo soldato è una spia del nemico sotto copertura, se è affidabile, se possono puntargli la canna della pistola alla tempia e usare qualcosa contro di lui nel caso li dovesse tradire.
Ma hanno le gambe intrecciate e le lattine di birra in mano sul porticato di casa e un computer su cui guardano le foto come adolescenti, le risate strette tra i denti come fosse un gioco.
E' lavoro.
E' guerra.
- Guarda che tette grosse che ha la sua ex, non hai speranze



Senza un Rifugio, quest'Inverno sarà molto freddo.



lunedì 19 novembre 2018

in tempo di guerra

Iphigenia è abituata a docce gelide, a spezzare il pane quando non ce n'è, a fare di ogni buco una tana confortevole; a parlare molto per coprire il silenzio e a cantare per coprire il suono delle pallottole e dei mortai. Non le resta nulla addosso perchè il corpo guarisce ogni volta e forse anche il cuore, piano piano, ha saputo imparare. Sembra essere anestetizzata al dolore e non aver paura di niente e ci si può chiedere se in realtà non sia una smidollata, perchè se è facile farsi amare da lei, è difficile lasciare un segno, dicono.


La lezione più importante che tu possa imparare nella vita, una lezione spesso dolorosa e che arriva sempre troppo tardi, è che per quanto tu ti possa impegnare in quello che fai

per quanto tu possa sforzarti
per quanto tu possa aver lavorato
per quanto tu possa volerlo, e con tutte le tue forze
per quanto tu possa pregare
per quanto tu possa essere bravo, il più bravo, il migliore
per quanto tu possa averne bisogno
per quanto tu possa esserti massacrato di fatica, impegno, dedizione
per quanto tu possa aver amato tanto

puoi sempre
fallire


Iphigenia ha imparato ad amare le docce gelide e i morsi della fame. Quelli come lei hanno fatto della guerra la propria casa e tutte le cicatrici, e tutti i segni, li custodisce con cura, come se fossero tesori.

lunedì 8 ottobre 2018

Hit! Hit! Hit!

Col senno di poi
avrei proprio dovuto dartelo
quel bacio


Un altro pugno di Galen Grace le spacca la faccia e il naso ricomincia a sanguinarle direttamente in bocca mentre torna al punto di partenza, e solo guardandolo negli occhi riprende la forza di tornare a combattere mentre i tagli sulle nocche si chiudono, i lividi si asciugano, le ossa si ricompongono.
Basta guardare la faccia di Galen Grace, colpevole di non averli saputi proteggere, colpevole di essere troppo simile a lei, colpevole di non averla amata abbastanza e di non essersi fatto amare abbastanza. Colpevole di mostrarle la propria stessa sofferenza nella stessa misura in cui lei la mostra a lui: con un altro pugno in faccia.
Vede il volto di Dominic Clark, colpevole di essersi fatto amare troppo prima di abbandonarla, di averla costretta a ricercare disperatamente il suo volto in decine di altri uomini, altre persone che non erano lui, di non potevano essere lui, di aver generato una figlia-mostro e non per il sangue che le corre nelle vene ma perchè senza cuore, tali e quali a lui, tali e quali alla prole fottuta già dal momento in cui è stata messa al mondo, tale e quale a suo fratello. E si merita davvero un altro pugno in faccia.
Vede il volto di James Ross, colpevole di essersi fatto spezzare il cuore migliaia di volte e di aver detto basta migliaia di volte e di aver spezzato questa promessa, l'unica che contasse, migliaia di volte. E risponde con un altro pugno in faccia.
Vede il volto di Logan Walker, colpevole di esserle stato accanto, di averle scritto tutte quelle parole che hanno finito per convincerla, colpevole di aver giurato e poi essersi fatto prendere da quelle guardie infami in un modo che grida è colpa tua, di non averle rubato quell'ultimo bacio che alla fine diventa un altro pugno in faccia.
E alla fine vede il proprio volto, spaccato dalle ferite e dalla sofferenza e da tutto ciò che non l'ha uccisa e che l'ha fatta diventare ciò che è diventata, e sa di essere colpevole di non aver fatto abbastanza, di non aver combattuto abbastanza, di non aver amato abbastanza. Colpevole di non aver mai fatto la scelta giusta, e tutto quello che rimane è un altro pugno in faccia.

Avrei dovuto
rimanere a casa
registrarmi quando ero ancora in tempo
non premere quel grilletto
trovare mio fratello
non rubare quell'ankh
tornare indietro
tornare indietro
tornare indietro

lunedì 1 ottobre 2018

Caleb e Jenny - pt.3


« Lo sai che per quanto ci pensi, mica me lo ricordo che c’era scritto sul bigliettino di quel biscotto della fortuna?»

Il suo non è un vero e proprio sonno, e apre gli occhi ogni volta che ne sente le dita tra i capelli o sporgersi per cambiare stazione alla radio - l’ha accesa lui? lei ricordava fosse spenta, ma sta mandando Wish You Were Here dei Pink Floyd ed è una scelta sicura-, cercando istintivamente prima una via di fuga, poi l’orario al neon arancione sull’autoradio a musicassette: sono le 3:32, poi le 3:56 e quando riapre gli occhi per l’ultima volta sono le 4:23. Piove ancora e la città è ancora immersa in un neon sfocato che sembra le luci di Natale.
« L’hai letto il Potere del Cane? »
« Tra poco è l’alba. Dormi. »
Lei non segue il consiglio ma non riesce ad alzare il collo, osserva il tettuccio dell’auto e il suo mento e capisce di essere stanca: nonostante i bei discorsi, le grandi parole, i propositi immensi è ancora stanca. « Parla di due fratelli, uno scemo e uno in gamba, ma quello che si sposa che la ragazza bella del villaggio è lo scemo. Ed inizia questa storia d’odio. Io prima della Sandmac non leggevo molto… il liceo non l’ho fatto proprio. Le persone non si laureano in Sandman Machine, di solito, perchè continuano a pensare che quel tempo non valga nulla, che non serva a nulla. È una macchina della disperazione, e così deve funzionare, quasi nessuno usa quel tempo per migliorarsi, e non fai altro che contare, ma avevo questo libro da finire di leggere… e poi ne ho chiesto un altro. E ancora. E ancora. E alla fine ho preso la laurea senza accorgermene, e ho finito per studiare più di quanto avrei mai creduto di essere capace.
C’è questo sistema che dovrebbe essere di remunerazione virtuosa, sai, parti con la stanza bianca e vuota, ma se ti comporti bene puoi scegliere qualcosa da ottenere e da tenere e da metterti in stanza, o sigarette, anche un cazzo di poster, è come i videogiochi, alla fine è tutta una realtà virtuale. Ma finisce come al solito, che chi accumula più potere in qualche maniera, chi primeggia, anche schiacciando gli altri… è un circolo vizioso. E sappi che io avevo tutti i libri che volevo.» C’è una vaga, addormentata ma crudele soddisfazione negli occhi da ragazzina - e ragazzina non lo è più, è chiaro, anche se di certo non è l’adulta che la Sandmachine l’ha fatta credere di essere. « Il libro me l’aveva prestato Jenny prima di quella missione, quindi se tornavo che non l’avevo finito mi apriva il culo. E se io magari io lo sospettavo, che sarebbe andata male, lei lo sapeva con certezza. Ha passato tutta la notte stretta a me perchè lei lo sapeva.»
Non si rende conto che forse il suo racconto non ha nè capo nè coda, non ha una morale, non significa nemmeno niente: la ragazza che ora è nelle mani dell’esercito, forse morta, le ha prestato un libro perchè sapeva, in qualche modo, che sarebbe andata come doveva andare.

Perchè l’hanno sempre saputo.


Caleb e Jenny - pt.2


Tira su con il naso, prende fiato, lentamente, le mille spie accese del cruscotto le hanno fatto perdere il filo del discorso con le loro urgenze: cambia l’olio, airbag non funzionante, allaccia la cintura di sicurezza, metti benzina (è sicura, ha fatto il pieno).
« Eri scivolata. » Glielo ricorda lui, con calma, nella voce un’interesse che non è solo di circostanza. Non è un modo per dirle: parla, così ti sfoghi e passi il tempo.
« … E la bomba esplode. Probabilmente l’hai sentito al tg quello che è successo…» Prende una pausa. Quando apre il vano portaoggetti del cruscotto scivolano un paio di mutandine e un cubo di rubick e lei nemmeno perde tempo a recuperarli, cerca un altro pacchetto di sigarette a tentoni e quando lo trova, lo strappa senza delicatezza per recuperare un’altra sigaretta da consumare troppo rapidamente per darle soddisfazione. « Quindi già dal giorno dopo mi ritrovo amici che mi fanno: c’è questo ragazzino che ti cerca, è disperato, crede che tu sia morta. Gli dico: faccelo credere, poi ci penso. Ma mi dicono tutti: è disperato, vacci a parlare, spiegagli la situazione, è una persona affidabile. E quando vado lì il coglione mi guarda e mi fa ‘ciao’, perchè dopo che mi avevano fatto credere che aveva acceso un cavolo di lumino per la mia morte Jenny mi racconta che ha questo cazzo di problema di memoria, c’ha le cose sulla punta della lingua e sembra rincoglionito ma non lo è sul serio, e comunque sapere che non ero *davvero* finita carbonizzata era un sollievo. » Finisce comunque a ridacchiare e non si sa come alla fine è finita mezza stesa sul sedile del pick up, del suo caro pick up magico su cui, gliel’ha raccontato, si sono buttati tutti per andare a ballare, con la testa vicino (sopra?) le sue gambe, e forse due ore le dormirà pure lei, perchè la notte è ancora lunga, e la storia non è finita.

(to be continued)

sabato 29 settembre 2018

Caleb e Jenny - pt.1


La rabbia non è aumentata, ma più esposta: dilatata, esasperata dalla lunghezza della notte, dalla persistenza della pioggia, dalle sigarette che bruciano dopo l’altre e non danno sollievo ai nervi tesi. Non danno sollievo gli occhi di chi la sta richiamando dentro, vieni a dare un’occhiata alle ferite, non da sollievo sapere che il pericolo per Clem Reed è passato e lei, la mano tra i capelli castani e bianchi, prende tempo. Si preoccupa di prendere tempo e senza pensarci inizia a raccontare.
« Ho conosciuto Caleb ad una manifestazione, sai ne avrai sentito pure sui giornali, quella con tutti quei morti, dove c’è stata l’esplosione.» Mastica il filtro, incespica nelle parole e non l’ha mai fatto, ma la voce non trema e la gola, per una volta, le lascia sollievo. « In quel momento non avevo il fattore rigenerante e anche a lui avevano rubato… una cosa. Gli avevano rubato una cosa, ecco tutto, e avevo la gamba rotta, e stavamo cercando di filarcela prima che la bomba deflagrasse. E inciampo. Inciampo come una cretina, capisci? Inciampo come una cretina e lo vedo lì, che tu dici che ho gli occhi da cerbiatto ma dovevi vederlo in quel momento, come mi guardava.» Forse c’è altro da fare ma in qualche modo lui ascolta, e capisce, lei gli apre la portiera e scivola sul sedile per farlo salire al posto di guida.
« Che poi non era la prima volta che lo vedevo, cioè, quella era davanti casa mia. No nel Desert, prima abitavo a Devil’s Pocket e prima ancora a China Town… davanti alla taverna di Wang. Ecco, lì. Con mio fratello e… un’altra volta.» Troppe persone troppi eventi da raccontargli. Troppi segreti. Lui capisce, e lei va avanti. Caleb: « ‘Digli chin chun chan’ mi sfotte questo ragazzino con la faccia da pesce lesso, c’era lui c’era Jenny e c’era un altro, Bill, non lo conosci. Lui se n’è andato.» Tradisce un certo affetto languido che le notizie di stanotte non hanno saputo nascondere, nel parlare di William, e forse lui se ne accorge e lei si accorge della sua occhiata, ma non dice niente e va avanti. « E non so come, non so perché, ci prendiamo tutti un biscotto della fortuna e poi andiamo a fare festa in un locale… non ti piacerebbero i locali che frequentiamo. Ma era la prima volta dopo tanto tempo che facevo amicizia così e non è più successo, io gente così non l’ho più incontrata.» Gli offre una sigaretta, parlando senza fermarsi.
Lui accetta, capisce che la notte è ancora lunga, e la storia non è finita.

(to be continued)

giovedì 27 settembre 2018

pretend to sleep



Per quanti eventi e circostanze tu possa trovarti ad affrontare nella vita, nulla sarà mai rassicurante come trovare ad addormentarti, in quel lasso di tempo tra i tre e nove anni (a volte un po’ di meno, a volte un po’ di più, a volte mai: dipende da nient’altro dalla fortuna che ci affida ad una famiglia amorevole o ad una che ci rifiuta o a nessuna), sul sedile posteriore dell’auto dei tuoi genitori o di chi si prende cura di te. Ignorante delle allarmanti statistiche sugli incidenti stradali, ci affidiamo alla guida di chi ci ama e le luci dei lampioni, il rollio della strada sotto gli pneumatici, l’ombra dei palazzi, la radio bassa - « abbassa ancora un poco, caro, non vedi che non tiene gli occhi aperti, sta per addormentarsi… »- formano una sorta di antica e rassicurante culla primordiale in cui solo i figli della generazione dell’asfalto e delle automobili abbiano avuto il privilegio di lasciarsi sprofondare prima di svegliarsi, come se nulla fosse accaduto, nel proprio letto.



Il ronzio dell’impianto dell’aria e quello dell’acqua e della console non riesce a nascondere nè a disturbare il silenzio in cui malvolentieri l’ha guardato dormire; ha accarezzato insistentemente tre alternative: la prima, qualcosa di semplice ed immediato e terribilmente facile da attuare: alzarsi dalla sedia in cui s’è rannicchiata, stretta in sè stessa come una naufraga su una zattera in un mare infestato dagli squali, rimettersi le scarpe, prendere la porta ed andarsene. La seconda, per cui avrebbe sicuramente avuto bisogno di un pizzico di coraggio in più ma terribilmente soddisfacente ogni volta che ci si soffermava, di quella soddisfazione cattiva di quando si pensa a qualcosa da arrabbiati, sarebbe stato svegliarlo bruscamente: v a t t e n e, Logan James Walker, ho cose da fare posti da vedere luoghi in cui correre e tu, è evidente, non puoi starmi dietro, mi metteresti i bastoni tra le ruote, non è giusto quello che mi stai facendo, non è giusto quello che ci stiamo facendo. La terza, spaventosa ogni volta che ci si soffermava di più che con la coda del pensiero e si scopriva a sorriderne, sarebbe stata raggiungerlo, e svegliarlo un po’ meno bruscamente.
Alla fine, senza accorgersene è sprofondata in uno di quei dormiveglia vigili e poco sereni, ad un certo punto si è trovata addosso una coperta che era sicura aveva lasciato nella sua casa di Devil’s Pocket e invece era lì e si è accartocciata in quella, senza ricordarsi del momento, del secondo o del minuto in cui aveva chiuso gli occhi e i suoi pensieri si erano tramutati in sogni confusi ma densi come melassa da cui riaffiorare troppo velocemente al primo movimento, al primo respiro, nel preciso istante in cui ha percepito Logan in piedi a guardarla. Ha pensato di fare come quando era piccola e di fingere di dormire ancora, che magari l’avrebbe svegliata - o lasciata in pace. Non è stato così, e lei non ha finto e non è riuscita a distinguere il momento distinto in cui ha aperto gli occhi e l’ha visto.
« Grazie.» 
L’ha visto disorientato e in qualche maniera infastidito - intimidito? Il punto - e quel punto Iphigenia Clark l’ha capito bene e solo in quel momento l’ha visto con chiarezza- è che Logan James Walker, dopo aver commesso lo strappo alla regola più azzardato che si potesse non essere concesso, era intimorito dalla ragazza (più insetto che persona) rannicchiata sulla sedia e con una coperta buttata addosso, le ginocchia ossute in gola e i piedi scalzi e gelidi, dagli occhi lucidi e il broncio ancora offeso.

Per la prima volta dopo tanto tempo si sente al sicuro e riesce ad abbandonarsi completamente tra le braccia di Galen Grace, mentre lui la deposita sul sedile posteriore di una qualche auto con la delicatezza con cui si maneggia una bomba, lasciandosi lentamente scivolare nell’oblio prima di perdere i sensi e dimenticarsi tutta la fatica, tutti i fantasmi, tutto il dolore. Quando riesce a fatica a riaprire la palpebra sana per sbirciarlo un’ultima volta, scopre che con le sopracciglia scure, il profilo greco, il naso diritto somiglia un po’ a suo padre, ed è proprio bello.

domenica 23 settembre 2018

L'ultima estate della mia giovinezza


« Vuoi vedere che so fare? »
Il ragazzino un po’ più grande fa un’evoluzione sull’altalena davanti ai suoi occhi ammirati e dice che una volta è riuscito ad andare al di là della barra orizzontale e a fare un g-i-r-o c-o-m-p-l-e-t-o, ma ora non può farglielo vedere; lei è lontana dall’età del cinismo e semplicemente ci crede come si crede a Babbo Natale e al Coniglietto Pasquale ed è ancora più entusiasta dai salti, dai giochi che Bobbie inventa anche per loro due; tra poco inizierà la scuola anche per lei e l’estate sta finendo, ma il suo papà l’ha portata al parco a giocare con le sorelle e gli altri bambini, basta che non lo dici a mamma. 

Nell’estate del 2027
Ho corso più veloce ho saltato più in alto, ho ballato fino a non sentirmi più il corpo e ho cantato a squarciagola; ho baciato un mucchio di ragazzi, li ho fatti innamorare e mi sono innamorata di tutte le persone che ho incontrato; ho perso persone, e ho perso la fiducia di persone che ho amato moltissimo e mi hanno amato moltissimo; ho stretto dei legami solidi come l’acciaio, una volta uno che conoscevo mi ha detto che il segreto degli antichi romani erano le strade, e i legami, e questa una persona era l’unico agente della SCF di cui mi sia mai fidata: quindi gli ho creduto; ho incasinato la vita delle persone che mi stavano vicino, e loro sono rimaste; ho spezzato il cuore a tutti; ho chiuso gli occhi troppe volte; ho rubato al museo e ne ho pagato le conseguenze quando sono stati rubati a me il tempo, il corpo, le speranze; ho pagato tutto quello che dovevo pagare e poi ho firmato per avere altri debiti; ho ucciso persone per disperazione e ho disperatamente cercato di salvarne altre, tutte; mi sono fatta esplodere un’auto in faccia; ogni giorno mi sono detta che era un nuovo giorno ed ogni notte, cercando di prendere sonno con gli occhi che bruciavano di tutto il pianto, mi sono detta: domani è un altro giorno.
Anche se l’estate è finita, domani è un altro giorno.

« Vuoi vedere che so fare? … »

venerdì 14 settembre 2018

Eroina


«Hai capito dov’è, no? La bomba che continui a cercare.»

Quando parla con l’autista lui non gli risponde, quel facciadimerda, e fa come se lei non esistesse; si adegua, Iphigenia, e appoggia le spalle alla parete del camioncino cellulare che non ha le finestre e non le fa vedere il mondo esterno - si accorge di pensarlo con un sospiro che sa di sollievo perchè farle vedere il cielo, comunque, sarebbe di una crudeltà assurda.
Il suo coraggio non vacilla quando la conducono all’interno del penitenziario con le manette ai polsi e alle caviglie e i bracciali anti-superumani a stringerle le braccia, e non vacilla mentre percorre un corridoio pieno di porte chiuse che sembra non finire mai, allungarsi passo dopo passo. Johnnie non è con lei e non l’ha ancora visto da quando era disperato su quell’ambulanza e ci prova, a chiedere, se sia stato già inserito nella realtà virtuale, perchè qualche minuto di ‘vantaggio’ potrebbe significare qualche giorno di differenza e le piange il cuore a saperlo lì, tutto solo. 
Il suo coraggio non viene meno ma le sue gambe vacillano e tremano e per un istante non la reggono più a vedere il lettino, le cinghie, il visore, le cannule dei neuroinibitori e neurotrasmettitori.
Il suo coraggio non viene meno ma vorrebbe urlare scalciare piangere e strillare, pur di non pensare al fatto che i prossimi giorni saranno sedici anni.
S e d i c i anni!
In sedici anni si fanno un mucchio di cose, puoi imparare cinque lingue o diventare uno chef, in sedici anni nascono e finiscono guerre, in sedici anni una ragazza impara tutto quello che c'è da camminare a baciare.
In sedici anni puoi capire che non ne vale la pena, che ti porterà solo risentimento, dolore e problemi; presto o tardi allontanerà da te le persone che ami, ti ritroverai da solo con addosso tutti i pesi delle tue scelte e la morte con il fiato sul collo. Puoi capire che non ne vale la pena e che hanno ragione loro. Non ne vale la pena e in sedici anni te lo dici cento volte: Mai più.
Basta. 
Hai un’alternativa, puoi scegliere.
Questa è l’ultima volta.
QUESTA è l’ultima volta.



"Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici. Scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai-da-te e il chiedetevi chi siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz, mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo di stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete il futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa cosí? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni.
Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?"

«La bomba è nella tua testa.»


martedì 28 agosto 2018

Amaro


James Ross non le ha mai messo le mani addosso ma non si sono risparmiati mai la cattiveria gratuita, la crudeltà delle parole o la violenza negli sguardi, e viene da chiedersi se questo è amore.

Iphigenia Clark non gli ha mai parlato di tutti i torti che gli ha fatto e forse è stato per non ferirlo, ma non si è risparmiata di regalare mille baci al vento e anche di più, darsi tutta quanta altrove, e viene da chiedersi se questo è amore.

Quando preme con forza e con rabbia la nuca di un ragazzo troppo giovane per stare con la merda fino al collo contro un muro e sente il rumore gretto del cranio che si spacca contro i mattoni sporchi del suo sangue mentre chiede dov’è, dov’è, dov’è per cento volte, viene da chiedersi se questo è amore.

Non dorme, cerca.
Non mangia, cerca.
Non respira, cerca.
Non vive, cerca.
E si chiede se questo, che fa così male, che sembra di affogare, è proprio amore.

venerdì 10 agosto 2018

Magic Van


Le cicale non cantano più perchè probabilmente il caldo le ha stecchite tutte. 
Si è detta e ripetuta che l’auto le serviva - anche se tutta rotta, perchè non ha i soldi per comprarsene un’altra o un motorino e ha setacciato ogni granello del Deserto per ritrovarla; alla fine non era nemmeno troppo lontana dalla sua Oasi.
Iphigenia Clark è seduta per terra, in silenzio.
Quello che ha davanti è lo scheletro del suo vecchio catorcio. Ogni cosa che avesse abbandonato nel suo cassone è scomparsa. Una volta aveva detto a qualcuno che era un pick up magico, quello, perchè potevi trovare tutto quello di cui avevi bisogno, e sebbene in quel momento era piena di rabbia e paura e preoccupazione verso di lui e contro di lui, quel qualcuno era importante.
Qualcuno ha portato via tutte e quattro le ruote e ha piazzato al loro posto, in uno scherzo crudele, solo due mattoni su quattro.
La vernice, che non è mai stata rossa fiammante, è stata tutta grattata via o quasi.
Però, al suo posto, qualcuno ha fatto dei disegni e delle scritte con le bombolette di vernice spray, e ora è come un Pollock tutto pieno di colori.
T h i e f, c’è scritto. Ladra.
W h o r e, c’è scritto. Puttana.
L o s e r, c’è scritto. Perdente.

Iphigenia Clark è seduta per terra.
In silenzio.

martedì 24 luglio 2018

Quello che va fatto


Il rumore delle falangi che si spezzano sotto la suola chiodata dei suoi scarponi ricorda quello di rami secchi che si spezzano, schioccando, per il fuoco che li brucia.
Longshot le chiede di farlo parlare e lei sa di essere messa alla prova, forse per la prima volta. Non pensa nemmeno che, oramai, è troppo tardi per tornare indietro, lei osserva la maschera priva di emozioni del Night Soldier e vede il volto di suo padre.
Vede l’uomo sotto di lei che dice di non sapere niente, e che dice che se parla gli faranno di peggio, e che implora.
E fa quello che va fatto.

Ha una pistola in mano e un uomo legato e bendato, spinge la canna tra gli occhi e costringe il dito sul grilletto, tiene gli occhi bene aperti e pieni d’orrore.
E, ogni volta, fa quello che va fatto.

Alza gli occhi su John alla sua scrivania concentrato in un lugubre e silenzioso tormento, e non ha il coraggio di dirgli che non deve avere dubbi, che hanno fatto quello andava fatto.
Avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto dirgli ‘Johnnie sei bello, se usciamo di questa brutta situazione poi mi dai un bacio’, senza punto di domanda, lei non ne ha bisogno, oramai può permettersi di pretendere almeno un bacio.
Gli occhi di John ora sono ciechi, ma lo vede tormentarsi dal rimorso ancora, ancora. Vorrebbe dirgli che hanno fatto quello che andava fatto, ma non ha più la voce e il lamento dell’ambulanza, unito al latrare degli infermieri che le poggiano le piastre del defibrillatore sul petto scarno, copre la voce di lui che chiama il suo nome.

Il prete ascolta ogni sua reticenza e capisce e le dice che Dio ti perdona se, e sembra assurdo, tu il tuo perdono lo vuoi davvero, che non serve confessare ogni singolo peccato, omissione, trasgressione, errore, che tutti quei baci rubati e pretesi sembrano una cosa da nulla. Può anche stare in silenzio, ma ci deve essere pentimento sincero, dal profondo del cuore. Iphigenia non capisce.
Lei ha fatto quello che andava fatto.



lunedì 16 luglio 2018

Creature Sanguinarie


Mentre si urla addosso con Mark Willson, accusandosi il peggio del peggio e facendosi male in maniere che non reputava possibili, inizia a sentire la subdola ed inizialmente ignorabile sensazione di un peso sulle spalle.
È viscido e caldo e mentre scivola sotto i vestiti, sotto le spalle o lungo la linea della schiena imperlata di sudore gelido, un pensiero insistente, che ha la costanza di un’ossessione, si insinua di nuovo tra le sue tempie.
« Sei così sicura che non ti sia piaciuto?» 


La persona alle sue spalle districa i nodi dei suoi capelli con la pazienza discreta con cui si è avvicinato a lei. Mentre la pettina, non parla e rispetta il silenzio torvo in cui si è costretta da troppe ore.
Entrambi sanno che arriverà un momento in cui dovranno, per forza di cose, parlare: se non per dei ringraziamenti, per delle scuse.
Entrambi sanno di essere due creature
sanguinarie

sabato 9 giugno 2018

Sic ego nec sine te nec tecum vivere possum





Lottano tra loro e tirano il mio debole cuore in opposte direzioni
l’amore e l’odio ma (penso) vince l’amore.
Ti odierò se potrò; altrimenti, ti amerò controvoglia:
anche il toro non ama il giogo che porta, eppure porta il giogo che che odia.
Fuggo dalla tua infedeltà, ma mi riporta indietro la tua bellezza;
detesto la tua condotta colpevole,ma amo il tuo corpo.
Così non riesco a vivere nè con te nè senza di te,
e mi sembra di non sapere che cosa voglio davvero.
 Vorrei che tu fossi meno bella o meno impudica: 
una bellezza così incantevole non si accorda con costumi corrotti. 
Le tue azioni meritano l'odio, il tuo bel viso induce all'amore: 
o me infelice, esso è più potente delle tue colpe!
Rispàrmiami, te ne prego, per i diritti del letto che ci unisce, 
in nome di tutti gli dèi, che spesso si lasciano ingannare da te, 
in nome della tua bellezza, che per me ha potere divino, 
in nome dei tuoi occhi, che hanno conquistato i miei!
Comunque ti comporterai, sarai sempre mia; tu scegli soltanto 
se vuoi che io ti ami perché anch'io lo desidero, oppure perché vi sono costretto!
Piuttosto alzerei le vele e mi affiderei al soffio dei venti 
e vorrei una donna che, s'io non volessi, mi costringesse ad amarla.

(Publius Ovidius Naso, Amores, 3, 11 b)


domenica 3 giugno 2018

Il mondo non è finito


‘ Ciao, siamo Effie - e Austin!- e questa è la nostra segreteria telefonica, se non avete niente di meglio da fare lasciate un messaggio…’
‘ Te l’ho detto mille volte di tenere il telefono vicino e... ’
Iphigenia si scapicolla giù per le scale, rotola per gli ultimi gradini e afferra al volo il telefono per rispondere prima che Ross Kelly possa finire di pronunciare la frase. Ha ancora gli occhi di sonno, nessun postumo della sbornia che ha preso ieri notte e ancora in maglietta e mutande - tutto rosa, dopo un piccolo incidente con la lavatrice. Fuori fa un caldo che la pelle cuoce, l’orologio da cucina segna le dieci ma il sole non si vede più, da quando ci sono i maledetti alieni c’è solo il grigio del metallo. Einstein fuori abbaia come un pazzo e se la sta prendendo con un’insetto, o il postino, o chissà cosa.
Ross Kelly non vuole lasciar trasparire il suo nervosismo mentre parla del Sud America, non parla di problemi e non parla di lavoro. Si assicura che lei e Austin (dovunque sia, qualsiasi cosa stia facendo con quel crucco del cazzo, va bene tutto, lo vedi stasera? meglio. Digli che è un coglione) stiano bene, mangino, cosa ha detto la scuola, ma quindi il diploma ve lo danno pure se hanno chiuso prima. Se vive ancora con quel ragazzo, e dove sta ora. Lei sorride, dando rapidamente un’occhiata al cellulare. Due messaggi.
- Ho una cosa semplice, un’estrazione. Per mezzogiorno sono a casa, pensa te al mangiare
E poi:
- Guarda che me lo ricordo che ieri sei stata una stronza, mi vendico di brutto quando torno ♥︎♥︎
La loro casetta storta, incastrata nelle Tasche del Diavolo tra mille altre è diroccata e tutta rotta ma calma, silenziosa e tranquilla, oggi più che mai, e leggere quelle parole le fa una gran tenerezza pure se il sole non si vede più, da quando ci sono i cazzo di alieni.
Iphigenia si incastra il cordless tra il collo e la spalla e inizia a preparare la colazione in quel campo di battaglia che è la loro cucina. La guerra sembra lontana, la guerra È la distrazione e questa è la vita vera, quindi si dedica alle sue uova, al suo bacon, ai mirtilli mentre Ross Kelly le racconta di questa famiglia che si è temporaneamente trasferita da loro dopo che li hanno salvati durante una missione. SI occupavano di gamberetti, poi i narcotrafficanti… non sente il resto, Einstein continua ad abbaiare davanti la finestra e lei ha finito per tagliarsi la mano col coltello, mugolando una bestemmia dal dolore.
« Effie, linguaggio…»
« Einstein! Che cazzo, piantala, bello! » 
« Effie…! » Ross ride. Gli manca. Si mancano. 
Le chiede se va tutto bene e lei risponde che si è tagliata col coltello. Sta’ attenta, le risponde Ross e ride ancora, e ride anche lei.
Si avvicina alla finestra per cercare di capire a cosa stia abbaiando Einstein con così tanta foga, se un postino o un uccello ma gli occhi si schiudono in una perplessità muta quando si accorge che non ci sono uccelli fuori, se non un paio che sono caduti stecchiti dall’albero in giardino, zampe all’aria. Fuori non c’è un rumore.
La conversazione telefonica inizia a diventare disturbata, non capisce più le parole di Ross ‘mi senti? Mi senti? Cazzo, qui ci dovrebbe essere campo completo…’ ma oramai è solo una voce robotica, sfocata, e quasi sovrappensiero, oramai immersa in una preoccupazione stranita, va a ricercare il particolare che prima aveva bypassato: l’orologio di casa segna le dieci, quello del cellulare le due. ‘Per mezzogiorno sto a casa’. Non c’è campo, non c’è segnale, non c’è wifi. Non c’è più la voce già allarmata di Ross Kelly dall’altra parte del telefono ma il verso ritmico e deprimente della conversazione caduta, come nei film, e si lascia cadere il telefono dalla spalla quando capisce che il sangue dalla mano sta gocciolando sul pavimento e sui suoi piedi scalzi perchè il taglio non s’è richiuso.
Il taglio non s’è richiuso.
Oltre all’abbaiare di Einstein si è unito l’antifurto di tutte le macchine, una luce bianchissima. Poi un boato e tutti i vetri della finestre che le esplodono addosso, in faccia.


In questo giorno di festa nessuno la nota ma nonostante tutto, non è ancora abituata a sentirsi tutti gli occhi addosso e per questo si copre, con la felpa, con il berretto e con la sciarpa anche se fanno venticinque gradi. Si copre, ma non basta mai e vorrebbe sul serio essere invisibile.
L'ultima volta che è stata qui, nevicava ed è sgattaiolata dentro come i ladri, seguita da una persona che non aveva altra colpa che preoccuparsi per lei, e lei l'ha accusato di tutto, urlandogli in faccia tutta la sua impotenza, tutta la sua rabbia.
Ora, al posto della baracca in rovina che un tempo era casa sua, la casa di Ross Kelly e di Austin Hoover e ad un certo punto anche di James Ross, ci sono i tavolini e le sedie e gli ombrelloni di un  grazioso ristorantino vegetariano, con tanti posti all'aperto e un menù nemmeno troppo caro per le sue tasche. Prende esattamente lo stesso lotto all'angolo, quindi è facile immaginarsi che dove c'era la cuccia di Einstein, ora c'è una famiglia che pranza tutti insieme, e ride. Dove c'era l'albero, un cameriere sta aprendo un ombrellone lamentandosi che di lì a poco, verrà a piovere. Dove c'era la cucina, la scritta sul vetro invita a provare tutti gli ingredienti a chilometro zero. E dove stava in piedi lei quando tutto è finito i proprietari, una giovane coppietta di non più di trent'anni a testa, lei visibilmente incinta, ride ed è felice del proprio successo.
Odiarli è difficile, con questa musica, con questo spirito di festa anche sotto la pioggia.
Odiare il suo fautore è difficile, visto che l’ha accolta in casa, visto che è stato il primo a farle vedere che il mondo non è finito.

Il mondo non è finito.
E va avanti anche senza di lei.


giovedì 31 maggio 2018

Più bello del Grand Canyon




I fuochi si stanno gradualmente spegnendo, tutti.
Indossa sudore, polvere, sangue e fatica, e tutto appartiene alla Desert.
Non è un trionfo, il trionfo non esiste, ma è impossibile non sentire montare nel petto una sensazione di soddisfazione bruciante e feroce: non per aver vinto - ma per aver combattuto. Per aver dato un senso a tutte le lacrime e gli anni di sofferenza e ogni volta che, guardandosi allo specchio, non ha riconosciuto gli occhi di chi la fissava, per aver dato un senso a tutti i sacrifici.
Il senso l'ha trovato nella ragazza sconosciuta che ha combattuto con tutte le sue forze, al suo fianco.
Il senso l'ha trovato negli occhi e nella voce di Cole Morgan, zitto e urla, e ha urlato.
Il senso l'ha trovato nella voce dei suoi compagni che annunciavano la ritirata, sani e salvi.
Il senso l'ha trovato incrociando Duke Fleed mentre l'allarme impazziva per i corridoi.
Il senso l'ha trovato nel messaggio di Jay che anche se è cambiata, e non la riconosce più, forse ci tiene ancora.
Il senso l'ha trovato a sapere che bambini, vecchi e malati, che i più deboli tra loro, erano in salvo.
Il senso l'ha trovato a sapere che il Comandante Iris Carter, il più forte tra loro, era in salvo.

L’agente Eriksen potrebbe essere morto è tanto diverso dai criminali a cui ha piantato il piombo tra gli occhi e nel cuore? Dai corpi scaricati nei cassonetti? Non serve nemmeno giustificarsi: basta ripetere di essere pronti a tutto. 
La febbre non passa e mentre guarda la sua città in rovina, brucia più che mai.
In piedi sul tetto di quello che una volta fu il Ruin, la Desert all’alba è bella quanto il Grand Canyon. È definitivamente più bella del Grand Canyon.
«Non pensavo che avessi così tanta voglia di vedermi.» La voce beffarda alle sue spalle le strappa immediatamente una risata e la prima parola che le viene in mente, il primo saluto che gli viene in mente, è coglione, ma glielo dice con le braccia al collo, affondandogli una mano nei capelli e premendogli, a tradimento, un bacio sul muso perplesso dal vederla così allegra, all’improvviso, ma anche lui sorride.
«Vieni stupida ti faccio strada. Ti piacerà.»

martedì 15 maggio 2018

Cinquecentosessantotto milioni di secondi -pt2


Iphigenia, Ofelia, Anna, Esmeralda, Anastasia.
Le eroine drammatiche di cui ha amato leggere, della realtà o della fantasia, si sono fatte trascinare dal corso degli eventi fino ad una fine orribile; perlopiù è stata colpa degli uomini che le circondavano: fratelli, fidanzati e mariti crudeli, uomini che hanno confuso il rancore per amore e padri - padri che ti condannano loro malgrado con la loro stessa esistenza e per il loro stesso nome, oppure ti legano all’altare, imbracciano il coltello e ti sacrificano per combattere la loro guerra.
Iphigenia vuole ripetersi che non è per colpa degli uomini se è finita nella situazione in cui si trova, non è colpa di nessuno: è stata solo il frutto di una serie di scelte deliberate e questo è il migliore dei presenti possibili.

Iphigenia siede da troppo tempo in un silenzio accigliato e torvo davanti al muro invisibile che la separa dal suo ospite; un uomo oramai sulla cinquantina abbondante, una benda sull’occhio e una gamba di legno coperta da un vestito di alta sartoria.
È un uomo ricco, infelice, ancora piacente. Ha, ancora, i suoi stessi occhi e le sue stesse labbra.
« Se non sei venuto per dirmi nulla, puoi anche andare via. » si costringe a parlare dopo un po’, ed è una presa di coraggio maggiore di quanto abbia mai osato. « Aspetto altre visite. »
« Chi vuoi che ti visiti. Tutti i tuoi amici, ammesso che tu ne abbia, saranno dei farabutti e dei criminali come te. Se s’avvicinassero di un chilometro attorno al penitenziario, finirebbero a farti compagnia in questo buco. È questo che volevi?»
Lei non ha una risposta. In verità, non capisce la domanda e rimane a boccheggiare - cinque giorni (quindici anni) per prepararsi ad ogni tipo di colloquio, discorsi alla radio, davanti a folle urlanti, davanti al maledetto Galen Grace per rimanere senza parole ora.
Merda.
Suo padre alza la voce, e il resto del colloquio sarà, da qui, tutto in discesa: direttamente una slavina. « È questo che volevi?! »

Astrazione, Alienazione, Allucinazione.
Utilizza quello che può, quando può, per salvaguardare la mente dalla prova estenuante a cui è sottoposta. Utilizza lo studio per tenere la mente impegnata, le visite di Nathaniel per tenere conto del tempo, e perfino la sofferenza fisica è utile se serve a ricordarsi che è tutto una stringa di codice - una lunghissima stringa- e che ha tutto uno scopo.
Ha pensato di negarle del tutto, le visite, ma dopo sei mesi di solitudine qualsiasi offesa potesse provare contro il mondo esterno e gli altri, soprattutto il genere maschile, si attenua e si modera.
Anche quando l’ultima visita, a poche ore ( mesi ) dal suo rilascio, è la più terribile.
Nascondere il proprio nome dietro ‘Effie’ ha funzionato per scongiurare una fine che è comunque avvenuta, ma non se ne rammarica: è sempre stata circondata da dei, re ed eroi più grandi di lei. 
E se come amano ripeterle questa è la più deprecabile fine in cui potesse piombare, allora si dice ridendo, confortando un cuore umiliato, ma non prostrato:
" Non avrò una tomba, ma un monumento! "
Ora, può essere solo Iphigenia.






lunedì 14 maggio 2018

Ciquecentosessantotto milioni di secondi


You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away…

Non c’è nessuno a cantare o suonare per lei.
Jenny e Clem la sfottono, vieni da un campeggio? Quella chitarra, lei l’ha venduta a Caleb per trenta dollari, ‘almeno resta in famiglia’.

Siamo quasi alla fine, ma è stanca.
Il bello, se di bello ci può essere in una macchina infernale come la Sandman Machine, è che prima di una visita hai tempo di prepararti. Non annunciano prima chi sia il visitatore, e quindi non rimane che crogiolarsi in un’aspettativa estenuante, snervante; certo, Iphigenia sa bene che non possono essere molte le persone che possano volerla visitare: la maggior parte dei suoi amici e compagni vivono liberi, e la libertà mal si sposa, purtroppo, con la sorveglianza sottoposta alla sua condizione di prigionia.
Può aspettare, ancora un altro giorno, ancora un’altra ora.
La maggior parte delle volte è Nathaniel. Dovrebbe odiarlo, è un agente, non è di sicuro diverso dagli altri, ma odiarlo è come dare pugni in un sogno: ti sbracci, ti agiti, alla fine smuovi a malapena l’aria. Questo concetto le ricorda qualcosa, o qualcuno, di lontano, ma forse è perchè sta sognando anche lei.
L’agente Jones è venuto solo una volta, forse perchè la odia oppure perchè ci tiene. Non lo sa e non è nemmeno sicura di volerlo sapere - è più facile odiarlo di rimando. La sua visita, in fondo, aveva il retrogusto amaro di una danza della vittoria.

Quando si volta, non è l’agente Jones e non è il suo avvocato. Non è Nathaniel e non è, ovviamente, qualcuno dei suoi amici (perchè ci pensi? non li vorresti qui).
«… Dad…?»

domenica 13 maggio 2018

Tutto ciò che ho perduto


La voce di Rhysand
L’ultima volta che ho incontrato James
Tutte le volte che ci siamo detti addio
La faccia di William
Sotto la maschera di Legion, io lo so chi c'è
Il fidanzato stupido di Allison
Tutta la cioccolata che Brendan mi ha regalato quando sono tornata a casa
Thirtheen ways to look a blackbird
I riccioletti di James Carter, e la sua valentina
Quel traditore che ho curato al Thrash Unreal
Emma Nimoy
‘Mi spiace, Effie, pare che i cattivi ragazzi siano esauriti…’
Ho fatto pace con Austin?
Tutti i baci che ho rubato a Galen Grace
Il cognome di Andre
Z o v i r a x
L’ultima telefonata di Ross Kelly
La maschera di Martin
Tutte le cicatrici di Maximilian
Genesis che mi spacca un braccio, Raul che mi spacca la faccia
Il responso del biscotto della fortuna di Caleb
Il verde degli occhi di Iris, e quello di Nicholas
La faccia di Cori, quella di mia madre
Total Eclipse of the Heart o I need a Hero?
Il mio giardino
Ogni lasciata è persa
Tutto l’odio di mio padre
I baci non dati
E tutto il resto
Quello che è rimasto in sospeso
La mia città in rovina
E tutto il resto












Sarà di nuovo tutto mio.

giovedì 10 maggio 2018

Maybe, boys around her, they were just dicks





C'è un salice che cresce di traverso
a un ruscello e specchia le sue foglie
nella vitrea corrente; qui ella venne,
il capo adorno di strane ghirlande
di ranuncoli, ortiche, margherite
e di quei lunghi fiori color porpora
che i licenziosi poeti bucolici
designano con più corrivo nome
ma che le nostre ritrose fanciulle
chiaman "dita di morto"; ella lassù,
mentre si arrampicava per appendere
l'erboree sue ghirlande ai rami penduli,
un ramo, invidioso, s'è spezzato
e gli erbosi trofei ed ella stessa
sono caduti nel piangente fiume.
Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto a una fangosa morte. »

(Amleto, Atto IV scena VII)

martedì 8 maggio 2018

sunshinechild@provider.xx


È l’alba di una bella mattina di primavera quando Iphigenia viene svegliata dal suono della sua stessa chitarra al di fuori della porta: qualcuno strimpella un paio di corde come se stesse cercando la nota giusta. Quando succede, inizia a suonare una canzone dolce, a volume basso, come le ninnenanne. La voce di un uomo adulto canta una strofa o due. Ha una bella voce, seppur non sia una voce che abbia una formazione accademica.


You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away…

Quando Iphigenia apre gli occhi per davvero, non vede la luce dell’alba, e non è nella sua casa di China Town, la chitarra l’ha venduta per trenta dollari e non c’è Ross Kelly a cantarle una ninna nanna per svegliarla.
Ma è ancora primavera.

Le lenzuola attorno arrotolate attorno alle gambe ossute non asciugano il sudore freddo e il cuscino non riesce a soffocare il respiro pesante, e affannato, di chi ha appena corso molto a lungo senza fermarsi. Più che scendere dal letto rotola giù e, arrancando verso la porta del gabinetto quasi la sfonda per ficcare, nell’ultimo slancio, la testa dentro la tazza del water, accasciandovisi sopra all’ultimo momento. Vomita in due veloci colpi di tosse saliva, e bile e tutto quello che non alimenta più un corpo fatto di nervi e fede cieca e intenti e rabbia. 
Quando torna ad abbattersi sul materasso trascinandosi su due gambe che non sono più gambe, ma un ammasso di carne senza più utilità, vorrebbe davvero rispondere al messaggio sul cellulare e lo prende tra le dita ma sono fredde, e goffe, e tremano, e pesano.
Lo lascia cadere sul cuscino, dicendosi, ‘dopo’.

« Gli eroi drammatici al Cinema vendono un sacco, alla fine... »

venerdì 4 maggio 2018

Renegades



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La sventagliata del P90 di Hierophant falcia tutti gli uomini che le bloccano la strada e le permette di spiccare il salto che la porterà, con un unico pugno dalla forza sovrumana, a sfondare il cranio di un altro: gli occhi gli escono letteralmente fuori dalle orbite, e si scrolla dalle nocche la materia cerebrale mandandola sull'asfalto insieme ad uno sputo sdegnato. È troppo lontana per fermare quelle bombe, e troppo lenta. Si ferma, osservando la nuvola di gas nero che si disperde nell’aria per avvelenare migliaia di innocenti come ci si ferma per ammirare un tornando in avvicinamento, o l’onda di uno tsunami, con gli occhi pieni di paura e di rabbia per non aver potuto fare nulla per non essere riuscita a fare nulla.




venerdì 20 aprile 2018



Stay low Go fast
Kill first Die last
One shot One kill
No luck All skill

sabato 7 aprile 2018

Punching in a Dream


Le parole che vanno bene a centomila persone non vanno bene ad una.
Si agita, si sbraccia, piange, gli urla in faccia e non ottiene niente; Lich non cambia mai espressione, è una maschera e le maschere non mostrano mai un cenno di debolezza. Per quanto possa provarci, per quanto possa lottare, ogni suo colpo non arriva forte come vorrebbe.
Non gli arriva niente.
Fa una figura patetica quando gli chiede se può rimanere. 

Sembra insolente il modo in cui si riavvia i capelli rialzandosi mezza nuda dal corpo della Fenice a terra, e vuole addosso tutti gli occhi che ieri sarebbero stati sgraditi. Mentre sgattaiola mezza nuda tra la folla, fuggendo allo sguardo attento e sempre vigile della Super Human Control Force e di tutte le forze dell’ordine, sorride con una soddisfazione infantile e vanitosa, tutta da femmina. Si sente ancora le braci sulla pelle e quello che è successo ha tutto l’odore di una vittoria sfacciata. Mentre fugge qualcuno le mette una giacca sulle spalle, lei elargisce sorrisi come se avesse addosso il vestito del ballo delle debuttanti, strizza l’occhiolino, sbatte le ciglia e mette su la migliore aria da smorfiosa che ha potuto allestire nell’ultimo anno.
Mentre sgattaiola felice di nascosto all’interno del tugurio che James Ross chiama casa, sorride con una soddisfazione spudorata e indecente da canaglia e si dimentica di tutto quello che non debba festeggiare. La vittoria le fa dimenticare, per qualche istante, l’espressione sdegnata di Dreameater che si allontana, turbata, forse le volta le spalle e non capisce se ha sbagliato qualcosa. Le fa dimenticare la durezza adamantina di Lich, ‘fa come credi’. Le fa dimenticare che alla base ci sono due persone in meno. Le fa dimenticare l’occhiata da cane bastonato di William Duvall che le chiede se lo odia, che le dice che dovrebbe odiarlo. 
Odiare William Duvall è come dare i pugni in un sogno, ti sbracci, ti agiti e non ottieni niente, cercare di salvarlo è lo stesso.

Può dimenticare ma solo per poco; i suoi occhi non li può asciugare in una notte sola perchè sono umidi di tutte le lacrime versate e trattenute a denti stretti, di tutte le notti insonni, di tutte le battaglie, le occasioni, le cause perse, e bruciano di una febbre che non passa mai, non passa mai.




Le parole che vanno bene a centomila persone non vanno bene a Galen Grace.

mercoledì 28 marzo 2018

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«Ricordo quel vestito che ti ha regalato Emma…»

Non c’è nemmeno un lampione acceso per strada ed è evita più buche possibile seguendo la linea sbiadita della carreggiata illuminata dagli abbaglianti. La strada è tutta per loro, stavolta.
James Ross ha l’aria assonnata ma il suo non è sonno, sta cedendo allo svenimento di tutte le ossa che gli hanno fracassato con le mazze e con i piedi di porco, con i calci in faccia e le suole addosso e lei non ha il coraggio di dirgli che non si ricorda del vestito, nè si ricorda di Emma Nimoy.

Non ha il coraggio di dirgli che non è mai esistito un tempo in cui non conducessero questa vita scellerata, un tempo in cui non l’hanno buttato in Sandman Machine e un tempo in cui non si sono nascosti come topi nel deserto.
Non potranno più giocare ad essere spensierati, avere un appuntamento normale. Non potranno più andare a bere in quel locale bello, che ne avranno fatto del BB Lux? Una banca di sicuro. E per non pensare che al posto del loro passato c’è una banca, tanto vale non ricordarlo più.
Ed è per questo che ti ha lasciata.
Questo è il tempo in cui farsi andare a fuoco e farsi riempire di piombo, farsi fracassare il cranio e tutte le ossa, non sono ragazzi e non sono uomini ma sono soldati destinati a morire e la morte rosicchia il passato con tutte le parole, i posti, le persone.
Anche Emma Nimoy.

«E quanto ti stava bene…»

sabato 24 marzo 2018

Weapons don't weep



Iphigenia vede il suo cuore andare a fuoco, è meglio di quegli snuff movie da cui non riesci a distogliere lo sguardo e mandi indietro per vedere i dettagli più cruenti e goderne - perchè te ne vergogni e lo neghi a te stesso ma in fondo quello che vedi ti piace.
Prende un sacco di piombo.
Il suo corpo va a fuoco, bruciando lentamente.
Il coltello di James Ross che le si ficca nella pancia.
Qualcosa che fa un rumore raccapricciante le spacca il cranio.
Ogni volta che chiude gli occhi muore in modo diverso, e non è mai per sempre.

Ci sono giorni buoni e ci sono giorni meno buoni, in cui deve solo impegnarsi un po’ di più.
Non da nemmeno così fastidio, e non è che può fare troppo la vittima, a nessuno piacciono le vittime.



martedì 6 marzo 2018

Sangue Amaro


Dominic Clark cammina con un bastone, ha una benda nera sull’occhio e il lato destro del suo bel volto completamente sfigurato dall’incidente che lo ha lasciato cieco da un occhio e zoppicante e che ha ucciso moglie e una delle sue due figlie; voci di corridoio dicono che si stesse preparando a lasciare l’America per mettere al sicuro la famiglia in Francia, ma che abbia cancellato il volo all’ultimo minuto perchè la sua Patria aveva bisogno di lui, e quando sale sul podio per il discorso tutti lo applaudono con entusiasmo sincero e commosso. 
In politica, ogni gesto, ogni cenno è un rito. L’ordine preciso con cui ci si stringe la mano in un gruppo di persone ha un significato, il modo in cui ci si sussurra durante il discorso di qualcuno a cui si è dato l’appoggio fino a quel momento, finanche il cambio di sguardi, può determinare la crescita esponenziale o, a volte, la fine di una carriera.
Iphigenia conta i sorrisi di approvazione che il suo discorso provoca negli uomini che sta ascoltando, che tra politici, esponenti del NOU più o meno riconosciti cavalcano la stessa paura che instillano nella mente dell’America, e Dominic Clark è un buon esempio vivente: potreste finire come me, dice il suo occhio bendato, se non si pone una soluzione al problema superumano, dice la fede d’oro all’anulare sinistro che quasi per caso punta una sedia vuota, dove un tempo lo osservava adorante la sua bella moglie trofeo.
È più convinto Dominic, più efferato. Pensa davvero quello che dice e non è solo una mossa politica, il dolore di perdere ciò che amava lo ha trasformato in un uomo molto amaro e più pericoloso di un politico carico d'odio è solo un politico intelligente e carico d'odio.
Lei, in qualche maniera, gli somiglia. Ha gli stessi occhi e lo stesso naso e la stessa forza rabbiosa quando esprime le sue convinzioni, la stessa determinazione bruciante che non gli vedeva da molto tempo. Le altre due sorelle erano bionde ma nessuno ha mai dubitato che lei fosse figlia di Dominic Clark.

Iphigenia spegne lo schermo del televisore disgustata dall’immagine di suo padre. Tutto la disgusta, ultimamente.


mercoledì 21 febbraio 2018




Si aggrappa a Brendan con tutta la forza che ha a disposizione ma non è abbastanza, non è mai abbastanza. Quando glielo strappano dalle mani è come rimanere un'altra volta a brancolare nel buio, solo che stavolta dietro un muro invisibile ci sono gli occhi di Galen e di Jimmy ad accoglierla, si stringe contro il vetro per sentirsi meno sola ma non parlano più.

Nessuno parla più.