lunedì 14 maggio 2018

Ciquecentosessantotto milioni di secondi


You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away…

Non c’è nessuno a cantare o suonare per lei.
Jenny e Clem la sfottono, vieni da un campeggio? Quella chitarra, lei l’ha venduta a Caleb per trenta dollari, ‘almeno resta in famiglia’.

Siamo quasi alla fine, ma è stanca.
Il bello, se di bello ci può essere in una macchina infernale come la Sandman Machine, è che prima di una visita hai tempo di prepararti. Non annunciano prima chi sia il visitatore, e quindi non rimane che crogiolarsi in un’aspettativa estenuante, snervante; certo, Iphigenia sa bene che non possono essere molte le persone che possano volerla visitare: la maggior parte dei suoi amici e compagni vivono liberi, e la libertà mal si sposa, purtroppo, con la sorveglianza sottoposta alla sua condizione di prigionia.
Può aspettare, ancora un altro giorno, ancora un’altra ora.
La maggior parte delle volte è Nathaniel. Dovrebbe odiarlo, è un agente, non è di sicuro diverso dagli altri, ma odiarlo è come dare pugni in un sogno: ti sbracci, ti agiti, alla fine smuovi a malapena l’aria. Questo concetto le ricorda qualcosa, o qualcuno, di lontano, ma forse è perchè sta sognando anche lei.
L’agente Jones è venuto solo una volta, forse perchè la odia oppure perchè ci tiene. Non lo sa e non è nemmeno sicura di volerlo sapere - è più facile odiarlo di rimando. La sua visita, in fondo, aveva il retrogusto amaro di una danza della vittoria.

Quando si volta, non è l’agente Jones e non è il suo avvocato. Non è Nathaniel e non è, ovviamente, qualcuno dei suoi amici (perchè ci pensi? non li vorresti qui).
«… Dad…?»

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