giovedì 27 settembre 2018

pretend to sleep



Per quanti eventi e circostanze tu possa trovarti ad affrontare nella vita, nulla sarà mai rassicurante come trovare ad addormentarti, in quel lasso di tempo tra i tre e nove anni (a volte un po’ di meno, a volte un po’ di più, a volte mai: dipende da nient’altro dalla fortuna che ci affida ad una famiglia amorevole o ad una che ci rifiuta o a nessuna), sul sedile posteriore dell’auto dei tuoi genitori o di chi si prende cura di te. Ignorante delle allarmanti statistiche sugli incidenti stradali, ci affidiamo alla guida di chi ci ama e le luci dei lampioni, il rollio della strada sotto gli pneumatici, l’ombra dei palazzi, la radio bassa - « abbassa ancora un poco, caro, non vedi che non tiene gli occhi aperti, sta per addormentarsi… »- formano una sorta di antica e rassicurante culla primordiale in cui solo i figli della generazione dell’asfalto e delle automobili abbiano avuto il privilegio di lasciarsi sprofondare prima di svegliarsi, come se nulla fosse accaduto, nel proprio letto.



Il ronzio dell’impianto dell’aria e quello dell’acqua e della console non riesce a nascondere nè a disturbare il silenzio in cui malvolentieri l’ha guardato dormire; ha accarezzato insistentemente tre alternative: la prima, qualcosa di semplice ed immediato e terribilmente facile da attuare: alzarsi dalla sedia in cui s’è rannicchiata, stretta in sè stessa come una naufraga su una zattera in un mare infestato dagli squali, rimettersi le scarpe, prendere la porta ed andarsene. La seconda, per cui avrebbe sicuramente avuto bisogno di un pizzico di coraggio in più ma terribilmente soddisfacente ogni volta che ci si soffermava, di quella soddisfazione cattiva di quando si pensa a qualcosa da arrabbiati, sarebbe stato svegliarlo bruscamente: v a t t e n e, Logan James Walker, ho cose da fare posti da vedere luoghi in cui correre e tu, è evidente, non puoi starmi dietro, mi metteresti i bastoni tra le ruote, non è giusto quello che mi stai facendo, non è giusto quello che ci stiamo facendo. La terza, spaventosa ogni volta che ci si soffermava di più che con la coda del pensiero e si scopriva a sorriderne, sarebbe stata raggiungerlo, e svegliarlo un po’ meno bruscamente.
Alla fine, senza accorgersene è sprofondata in uno di quei dormiveglia vigili e poco sereni, ad un certo punto si è trovata addosso una coperta che era sicura aveva lasciato nella sua casa di Devil’s Pocket e invece era lì e si è accartocciata in quella, senza ricordarsi del momento, del secondo o del minuto in cui aveva chiuso gli occhi e i suoi pensieri si erano tramutati in sogni confusi ma densi come melassa da cui riaffiorare troppo velocemente al primo movimento, al primo respiro, nel preciso istante in cui ha percepito Logan in piedi a guardarla. Ha pensato di fare come quando era piccola e di fingere di dormire ancora, che magari l’avrebbe svegliata - o lasciata in pace. Non è stato così, e lei non ha finto e non è riuscita a distinguere il momento distinto in cui ha aperto gli occhi e l’ha visto.
« Grazie.» 
L’ha visto disorientato e in qualche maniera infastidito - intimidito? Il punto - e quel punto Iphigenia Clark l’ha capito bene e solo in quel momento l’ha visto con chiarezza- è che Logan James Walker, dopo aver commesso lo strappo alla regola più azzardato che si potesse non essere concesso, era intimorito dalla ragazza (più insetto che persona) rannicchiata sulla sedia e con una coperta buttata addosso, le ginocchia ossute in gola e i piedi scalzi e gelidi, dagli occhi lucidi e il broncio ancora offeso.

Per la prima volta dopo tanto tempo si sente al sicuro e riesce ad abbandonarsi completamente tra le braccia di Galen Grace, mentre lui la deposita sul sedile posteriore di una qualche auto con la delicatezza con cui si maneggia una bomba, lasciandosi lentamente scivolare nell’oblio prima di perdere i sensi e dimenticarsi tutta la fatica, tutti i fantasmi, tutto il dolore. Quando riesce a fatica a riaprire la palpebra sana per sbirciarlo un’ultima volta, scopre che con le sopracciglia scure, il profilo greco, il naso diritto somiglia un po’ a suo padre, ed è proprio bello.

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