giovedì 31 maggio 2018

Più bello del Grand Canyon




I fuochi si stanno gradualmente spegnendo, tutti.
Indossa sudore, polvere, sangue e fatica, e tutto appartiene alla Desert.
Non è un trionfo, il trionfo non esiste, ma è impossibile non sentire montare nel petto una sensazione di soddisfazione bruciante e feroce: non per aver vinto - ma per aver combattuto. Per aver dato un senso a tutte le lacrime e gli anni di sofferenza e ogni volta che, guardandosi allo specchio, non ha riconosciuto gli occhi di chi la fissava, per aver dato un senso a tutti i sacrifici.
Il senso l'ha trovato nella ragazza sconosciuta che ha combattuto con tutte le sue forze, al suo fianco.
Il senso l'ha trovato negli occhi e nella voce di Cole Morgan, zitto e urla, e ha urlato.
Il senso l'ha trovato nella voce dei suoi compagni che annunciavano la ritirata, sani e salvi.
Il senso l'ha trovato incrociando Duke Fleed mentre l'allarme impazziva per i corridoi.
Il senso l'ha trovato nel messaggio di Jay che anche se è cambiata, e non la riconosce più, forse ci tiene ancora.
Il senso l'ha trovato a sapere che bambini, vecchi e malati, che i più deboli tra loro, erano in salvo.
Il senso l'ha trovato a sapere che il Comandante Iris Carter, il più forte tra loro, era in salvo.

L’agente Eriksen potrebbe essere morto è tanto diverso dai criminali a cui ha piantato il piombo tra gli occhi e nel cuore? Dai corpi scaricati nei cassonetti? Non serve nemmeno giustificarsi: basta ripetere di essere pronti a tutto. 
La febbre non passa e mentre guarda la sua città in rovina, brucia più che mai.
In piedi sul tetto di quello che una volta fu il Ruin, la Desert all’alba è bella quanto il Grand Canyon. È definitivamente più bella del Grand Canyon.
«Non pensavo che avessi così tanta voglia di vedermi.» La voce beffarda alle sue spalle le strappa immediatamente una risata e la prima parola che le viene in mente, il primo saluto che gli viene in mente, è coglione, ma glielo dice con le braccia al collo, affondandogli una mano nei capelli e premendogli, a tradimento, un bacio sul muso perplesso dal vederla così allegra, all’improvviso, ma anche lui sorride.
«Vieni stupida ti faccio strada. Ti piacerà.»

martedì 15 maggio 2018

Cinquecentosessantotto milioni di secondi -pt2


Iphigenia, Ofelia, Anna, Esmeralda, Anastasia.
Le eroine drammatiche di cui ha amato leggere, della realtà o della fantasia, si sono fatte trascinare dal corso degli eventi fino ad una fine orribile; perlopiù è stata colpa degli uomini che le circondavano: fratelli, fidanzati e mariti crudeli, uomini che hanno confuso il rancore per amore e padri - padri che ti condannano loro malgrado con la loro stessa esistenza e per il loro stesso nome, oppure ti legano all’altare, imbracciano il coltello e ti sacrificano per combattere la loro guerra.
Iphigenia vuole ripetersi che non è per colpa degli uomini se è finita nella situazione in cui si trova, non è colpa di nessuno: è stata solo il frutto di una serie di scelte deliberate e questo è il migliore dei presenti possibili.

Iphigenia siede da troppo tempo in un silenzio accigliato e torvo davanti al muro invisibile che la separa dal suo ospite; un uomo oramai sulla cinquantina abbondante, una benda sull’occhio e una gamba di legno coperta da un vestito di alta sartoria.
È un uomo ricco, infelice, ancora piacente. Ha, ancora, i suoi stessi occhi e le sue stesse labbra.
« Se non sei venuto per dirmi nulla, puoi anche andare via. » si costringe a parlare dopo un po’, ed è una presa di coraggio maggiore di quanto abbia mai osato. « Aspetto altre visite. »
« Chi vuoi che ti visiti. Tutti i tuoi amici, ammesso che tu ne abbia, saranno dei farabutti e dei criminali come te. Se s’avvicinassero di un chilometro attorno al penitenziario, finirebbero a farti compagnia in questo buco. È questo che volevi?»
Lei non ha una risposta. In verità, non capisce la domanda e rimane a boccheggiare - cinque giorni (quindici anni) per prepararsi ad ogni tipo di colloquio, discorsi alla radio, davanti a folle urlanti, davanti al maledetto Galen Grace per rimanere senza parole ora.
Merda.
Suo padre alza la voce, e il resto del colloquio sarà, da qui, tutto in discesa: direttamente una slavina. « È questo che volevi?! »

Astrazione, Alienazione, Allucinazione.
Utilizza quello che può, quando può, per salvaguardare la mente dalla prova estenuante a cui è sottoposta. Utilizza lo studio per tenere la mente impegnata, le visite di Nathaniel per tenere conto del tempo, e perfino la sofferenza fisica è utile se serve a ricordarsi che è tutto una stringa di codice - una lunghissima stringa- e che ha tutto uno scopo.
Ha pensato di negarle del tutto, le visite, ma dopo sei mesi di solitudine qualsiasi offesa potesse provare contro il mondo esterno e gli altri, soprattutto il genere maschile, si attenua e si modera.
Anche quando l’ultima visita, a poche ore ( mesi ) dal suo rilascio, è la più terribile.
Nascondere il proprio nome dietro ‘Effie’ ha funzionato per scongiurare una fine che è comunque avvenuta, ma non se ne rammarica: è sempre stata circondata da dei, re ed eroi più grandi di lei. 
E se come amano ripeterle questa è la più deprecabile fine in cui potesse piombare, allora si dice ridendo, confortando un cuore umiliato, ma non prostrato:
" Non avrò una tomba, ma un monumento! "
Ora, può essere solo Iphigenia.






lunedì 14 maggio 2018

Ciquecentosessantotto milioni di secondi


You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away…

Non c’è nessuno a cantare o suonare per lei.
Jenny e Clem la sfottono, vieni da un campeggio? Quella chitarra, lei l’ha venduta a Caleb per trenta dollari, ‘almeno resta in famiglia’.

Siamo quasi alla fine, ma è stanca.
Il bello, se di bello ci può essere in una macchina infernale come la Sandman Machine, è che prima di una visita hai tempo di prepararti. Non annunciano prima chi sia il visitatore, e quindi non rimane che crogiolarsi in un’aspettativa estenuante, snervante; certo, Iphigenia sa bene che non possono essere molte le persone che possano volerla visitare: la maggior parte dei suoi amici e compagni vivono liberi, e la libertà mal si sposa, purtroppo, con la sorveglianza sottoposta alla sua condizione di prigionia.
Può aspettare, ancora un altro giorno, ancora un’altra ora.
La maggior parte delle volte è Nathaniel. Dovrebbe odiarlo, è un agente, non è di sicuro diverso dagli altri, ma odiarlo è come dare pugni in un sogno: ti sbracci, ti agiti, alla fine smuovi a malapena l’aria. Questo concetto le ricorda qualcosa, o qualcuno, di lontano, ma forse è perchè sta sognando anche lei.
L’agente Jones è venuto solo una volta, forse perchè la odia oppure perchè ci tiene. Non lo sa e non è nemmeno sicura di volerlo sapere - è più facile odiarlo di rimando. La sua visita, in fondo, aveva il retrogusto amaro di una danza della vittoria.

Quando si volta, non è l’agente Jones e non è il suo avvocato. Non è Nathaniel e non è, ovviamente, qualcuno dei suoi amici (perchè ci pensi? non li vorresti qui).
«… Dad…?»

domenica 13 maggio 2018

Tutto ciò che ho perduto


La voce di Rhysand
L’ultima volta che ho incontrato James
Tutte le volte che ci siamo detti addio
La faccia di William
Sotto la maschera di Legion, io lo so chi c'è
Il fidanzato stupido di Allison
Tutta la cioccolata che Brendan mi ha regalato quando sono tornata a casa
Thirtheen ways to look a blackbird
I riccioletti di James Carter, e la sua valentina
Quel traditore che ho curato al Thrash Unreal
Emma Nimoy
‘Mi spiace, Effie, pare che i cattivi ragazzi siano esauriti…’
Ho fatto pace con Austin?
Tutti i baci che ho rubato a Galen Grace
Il cognome di Andre
Z o v i r a x
L’ultima telefonata di Ross Kelly
La maschera di Martin
Tutte le cicatrici di Maximilian
Genesis che mi spacca un braccio, Raul che mi spacca la faccia
Il responso del biscotto della fortuna di Caleb
Il verde degli occhi di Iris, e quello di Nicholas
La faccia di Cori, quella di mia madre
Total Eclipse of the Heart o I need a Hero?
Il mio giardino
Ogni lasciata è persa
Tutto l’odio di mio padre
I baci non dati
E tutto il resto
Quello che è rimasto in sospeso
La mia città in rovina
E tutto il resto












Sarà di nuovo tutto mio.

giovedì 10 maggio 2018

Maybe, boys around her, they were just dicks





C'è un salice che cresce di traverso
a un ruscello e specchia le sue foglie
nella vitrea corrente; qui ella venne,
il capo adorno di strane ghirlande
di ranuncoli, ortiche, margherite
e di quei lunghi fiori color porpora
che i licenziosi poeti bucolici
designano con più corrivo nome
ma che le nostre ritrose fanciulle
chiaman "dita di morto"; ella lassù,
mentre si arrampicava per appendere
l'erboree sue ghirlande ai rami penduli,
un ramo, invidioso, s'è spezzato
e gli erbosi trofei ed ella stessa
sono caduti nel piangente fiume.
Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto a una fangosa morte. »

(Amleto, Atto IV scena VII)

martedì 8 maggio 2018

sunshinechild@provider.xx


È l’alba di una bella mattina di primavera quando Iphigenia viene svegliata dal suono della sua stessa chitarra al di fuori della porta: qualcuno strimpella un paio di corde come se stesse cercando la nota giusta. Quando succede, inizia a suonare una canzone dolce, a volume basso, come le ninnenanne. La voce di un uomo adulto canta una strofa o due. Ha una bella voce, seppur non sia una voce che abbia una formazione accademica.


You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away…

Quando Iphigenia apre gli occhi per davvero, non vede la luce dell’alba, e non è nella sua casa di China Town, la chitarra l’ha venduta per trenta dollari e non c’è Ross Kelly a cantarle una ninna nanna per svegliarla.
Ma è ancora primavera.

Le lenzuola attorno arrotolate attorno alle gambe ossute non asciugano il sudore freddo e il cuscino non riesce a soffocare il respiro pesante, e affannato, di chi ha appena corso molto a lungo senza fermarsi. Più che scendere dal letto rotola giù e, arrancando verso la porta del gabinetto quasi la sfonda per ficcare, nell’ultimo slancio, la testa dentro la tazza del water, accasciandovisi sopra all’ultimo momento. Vomita in due veloci colpi di tosse saliva, e bile e tutto quello che non alimenta più un corpo fatto di nervi e fede cieca e intenti e rabbia. 
Quando torna ad abbattersi sul materasso trascinandosi su due gambe che non sono più gambe, ma un ammasso di carne senza più utilità, vorrebbe davvero rispondere al messaggio sul cellulare e lo prende tra le dita ma sono fredde, e goffe, e tremano, e pesano.
Lo lascia cadere sul cuscino, dicendosi, ‘dopo’.

« Gli eroi drammatici al Cinema vendono un sacco, alla fine... »

venerdì 4 maggio 2018

Renegades



D͟u̷̢e̸͝ ҉̶̡f͏o̷̧͏̧r̛͡m̵i̴͜͡c̷̨͏͏h̷̛̕͜ę́͏ ̵̕͠s͡ì̡̀͜ ͟҉s̷̴͠ţ͠á̡n̴n͏҉ò̶͘͝ ͜͡f̧̨̨̀a̴̛͜͏c̵̨͘͜e̵͏̶͟n̡͜͞d̸̡o͞͏̷̨ ͠͝͠i͜͏͜n̡̢͟͞͠ ̶̴͘҉̨m̷̕͢í̵̵͢l̡̧̀͜l̸̸̡̢̛é̡ ̨̀̕ṕ̧͢ȩ̵r̶̵̕̕͜ ̡̢͟͢p͏̡҉ơ̧͜͡͏ŕ͢t̨̨́͢͝a͏͏͘r͏̸͟͠͝e̛͢ ͠ų̧̛͟͟n҉͡͏ ̶̧͢u̷͞n̷̸͝͡͞’̡̀u͢͡n̡̢͜͞í͜͝͡c̸̡͢a̷̸̛͟ ̸͟͟b̸̧̀͡ŗ҉̴i̵̛͞ć̸͘į̧͟͞o͟l̷̢̡a͡͝ ̴̵͞ḑ̴̀́͠į̢̕ ̡p̵̨̨̛̀a̸͢ń̴͠ȩ̧̧̀͘ ̴d̢̡á̡̡͡ ̧̢̡͘͢ứ͜n͏͘a̴̡͟͞ ̧͘p̶a̵̕r͠͏̀͠t̡̕͜ȩ̶̢̡͡ ̸̨̡́͟a͏̧͘ļ̷́̕ĺ̀’́͞á̶͢l̶̷͘͝͡ţ́̕͟͞r͢҉̨͠a̧͡͏͞͏ ̷́͢d͘͏ę̢̕l͏͡͞l̢̡̛͟͜a͟ ̷̡̀͢҉ş́p̧̕i̴̡̕a̴̧͘͢͟g҉̷̨͝ǵ̷̀͘i͡҉͡҉á̷̕͜͝ ̵̸͘͝ḑ̶i̶̷̢ ́҉g̵̶̵h̨͟͏̨į̛́͡a͟҉̨̨į̵̡́͘a̶̡ ̛̕͞͡e̵͢͝͝ ̀̀͝҉l̀́͠ǫ̧͘͘ŗ̸͜͏o͏̀͘ ̵̸̛͠͝s̶͞o̵̡͏̛n̛͜͡͏ǫ̧͏͏̵ ̀͏̛͢ń̸͏u͏̶̡͟d̡͟͠į̸͝ ̨͢c͏́̀̕̕o͏̕m̴̢͘͢e͘͜͡͞͏ ̨͜͏s̢̕͟҉e̛͜͠l̶͏̷͟v̸͠a͢͢͞g̶̀͘͜͡ģi͘͠ ͏a̢͝͏̡͠ ̕͟͠f͢͞à̶r̕͢s̵̀͝͠͠i̢̡͜͜͝ ̶̷̨́a̧͜s̸͏̀c̡̧i̷̷̢̕͢ú̸̡̡g̷̨͘a͞͝ŗ̡e̸͘͝ ̛d͟͢a̡̛͘l̸̷̀ ̷́͏̧͢s̸͞ớ̸̷͡l͠͏̶̸é̢̢ ̨e̸̕ ̸̶̨̛d̴̢́́͝a̸͞ĺ̕͘͞ ̛̕͡v͏͏e̢̕͟n̛͠t̷̶̛̀͢ớ ̶̢̛d̢̛͞҉o҉͟͟͞p҉o̸̕͟ ̶m̶̡̧͝i̷͝l̷̢̀͜l̸̶̀͟͝e̸͟͡͏ ̸̨̕̕͘e̶͞ ̧̡̀͢m̨̛̛͜í̧̧l̴̡͟ĺ̴̸̵͠e̡͠͡ ̡͟͡t̶҉̕̕̕u̡͜f҉̶́͟͠f̴̶͘͠i̷̡҉̴͏,̷̢͘͝ ͏͠͝d͟͞ờ̷̧͜p̡o̵̵̕͜͠ ̸̢͘e̵͘͟s̴s̕͞҉e̷̢͜r҉̛s͡͞i̶͠͠͏ ̡͘͢͟ĺ͢a̷̡̡ǹ̀͞c҉̢͘͝i͘͠a̵̡͞t̷͟į̴̧͜ ̴̡̕d͘͝͝a̴̧͘͢í̧̛́͝ ̡́̕͝r̷̨͝͡á̸̵͜͝m̧҉̀͏i̸̢̕͜ ̨̀́͟͞d̷̴̀͘͞ę̸̷͞g̵͟l͏͞i̷͜͝ ̸̧a̷̛҉̡͝l̴̕͟͏̡b͘͝͞e̶̸̢͜͟r̨̢͜i̷̸̶̴̛ ̸̵́́è̴͟͞ ̡̡̡́a̶͠v̷̢̨͢͟é̶́r҉̴͘ ̧͠͞g̴̕͝i̧̡͞҉͠o̧̡͏c̶͟͠͠à͟t́͜o̸̧͝ ̷̡͟͞a҉̧́d͞҉͏͡ ͡͏̢a͘͟͟͠f̀̕f̴̴̧òg̡̛á̢̢͜͠r̢̧̕s̷̀̀i̵̸̢͢ ͢͢e҉̸̵̨ ̶̨̧͘a͘͠͝v́̕̕é̡r̡ ̸̴̷̢͝g̴̛͠r̷̢͜i͘g̵̨͝l̶̡̛̛͜ì̀̕͟͏a̡͜t̶͠ò́͡͏́ ̷̸̸͠t̸̨҉̀u̧̡͟҉̧t͟͞t҉̛͜a̷̛̕ ̵̷̢̧l̵͘͢҉a͘͟ ̨͡ç̀́͞á̵̡̛r̴̸n͏̴̧͝e̕͘͏ ̡̀͟͟͠ç̕h̢҉e̷͢͠ ̴̴̕̕͢h́͡͝a̕ǹ͏n҉̡̕҉o̸͏ ̧̢̢͝c̡̡o̵̢m̡̛p̵̕r̨̢a̵̸t̀͞͝ǫ̶͝ ̸̢͘͜͝a͠͠͡͞ĺ͞ ͘͠d̷̴̡̀́i͟ś̛͟͜͏c̴̷͢͝͠ò̕͏́u͟͜͞͡n̛̕͜t̷ ̸̸͘͜s̵͏u̵̢̨͝͡ļ̴̀̕͘ĺ̨̛͜à̶͞͞ ̶͜s̀͢͟t̷̨r̸̸̢̀ą̸̢͘d̵̴̡̀ą̵͝͝ ̕s̡̛͠ú̵̡̀͜ ̀͢u̷͡n̷͏͢á̛͡͏͡ ͟͜͝ģ̷̀r̕͜͡i͘͜͡ģ̢̨͞l̨͠i̵̡̕a̶͘͟͡͠ ͏̀͞͡a͠n̶̷̷͡c҉̷̀h̡̢͜’͏̶̸e̸̵͟͜ş̡̢͡s̸̢͘͞a̢͞͠͞ ̸̴̛͟҉c̶̶̀ó̢m͏̷̨͝p̸͏̡́r̴̢̨͢a̸̧͘͢t̡̛͘͞a͟͝ ̀͜s͝u̷̵͘͢͟l̀͏͘͞͞ĺ̸̶̨ą̧́҉ ̸̡͜ş̴̵͘t̷̛̛́͝r͏҉á̸̧d̸̀̀͜a̵̛͟͢.̷̡̢̀͢ ̷͜҉̷̸

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S̛ońo͟ ̕nu͟͞͠d̵̕͞i ͏com͞ę͞ ̷̀ść͘͜i̷mm̵̷̛i̸e̢ ͏͟m͠͞a̴̛ Jąm͝e҉̡s̀͞ ̴̨̛s̴̀i̴̕͏ ̶g̡̀u̕͢͟a̕r҉d̴a̡͞ lo̧͘ s̷t̨é͞s̨s̶̴͢o̕ ͢͡ȩ̛͘ ͟͡s͠i҉̴̕ ̸r̶i̕͞͞p̸̸͡ren҉d̵̛̀e͏͡ ̨̡ḑa̴҉l̨͠l͡a͠ ̴̸͡p̢̡ę͘r̶̵pl̡e̡s̷̕sit̕͘à҉ e̴͜ ̵ri̡͏̢de,̡͡ ̛m͘an̸̷d͘͜a̢͜͢n͢҉̢dò̵̢l҉a ͘a̷͞ ҉q̧̨ue҉l͟ p̢ae҉̢͠s͟e. I̴͘n ̡͝͞q̴ù́͏a̛ra̢nt̡͟o͏͟tt̡͘̕o̧ ̛͡or҉e̴͟͝ ҉s͢a̕͝͠r͘a҉n̶̨͡ń͟o ̧t̴͠o̶͘͠r̴҉͡n͘at͞i҉̡ ̵̢͡a͠d̨́ ̡̢ù́n̶͜a̛ ̀c͏͡i̡t͡t̛͢à̕͝ ̨͟f̡͜͢u͜͏m̧osa̢ e̡̧ ͟͡ch̢e ͡l̶i͠ ̢o҉̨d̛͠i̡͞à,̛͡ ҉͜m̴̸͟a̛ ́͜quí ̵͘i͏͞n m͏͠e̕͟҉z̵z̶̕ơ ҉a̴l̶ ҉҉b́os̷͡c̡̀̕o̸͞,̡͞ ҉̀͡s̨͢t̛e͜͝s͠i͡ ̸a͜҉d́ ̕a͞sc̛i̶͟͜u͟͠g̴̀a͢r҉si̴̕ a͡l̷̸ ͜s̶ǫ̕͢l̶è̢ ̴̡c҉̸͢o̡͡m̢̢͝e̡ ̶l̴͢uc̴̛͘èrt̴̛o̴̡l̶̕e͡,̕ ̧l̢͞u҉̕͟i n͏͟on̴̕͠ ̨è̵͡ ̴̕un͡͝ ́̕͞c̷r̵í҉m̴̕͡ína̵͘͠l̴e͏ ͢r͞i̕c͡͝e̸r͞͠͡c̛͡á̸t̢͘o ̛͞è l͘̕͘e̸i̴͜ ͟n̷̢o̵͢͠n҉̸͟ ͘͡͞è̀ ̷l̛o͢͟ s͜c̕ar̡̀͘t̷͜o di̷͞ ͘͞n͝e̶͞͞s̵̛s̡u͞҉n͟o͜.̶
̵̧C҉̨͡i̧͏ ̴͘p̡ȩ̵̀nsa͜͠ ̸a̷̴ḑ̀ ͝͡u̸ń̴a̷͟ ͞f̷͢a̧͞͡m͜͢i̷͞g̷̡l̶̨͜ia̷̵,́̕ ͞ci͜͠ ̷̛p͏͡ens̶͝a̴͢ ̸a̵̢d̷̵ ͡͡u͞n̴̛ ҉ba̧m̕͢b̴̢į̢͡n͘͢͞o,̵͘ ̛l҉̷e҉̴i͢?̵͠ C͢i̵ ̴̡̕p͢͠en͠sa̢ a͟ ̵̸̡c̛͘͝r̛͏e͜a̧re̷̢ ͝qua̧̕l͜͠͡c͟o̸͘͜sa̶͘͝ ̷̡ch͡͏ę ͟͟s͏ì̶a ͟͡s̀̀͝o̢̡lo̵̴ ̡s̴͜͡u͢͡o̸?̡̢̀҉
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La sventagliata del P90 di Hierophant falcia tutti gli uomini che le bloccano la strada e le permette di spiccare il salto che la porterà, con un unico pugno dalla forza sovrumana, a sfondare il cranio di un altro: gli occhi gli escono letteralmente fuori dalle orbite, e si scrolla dalle nocche la materia cerebrale mandandola sull'asfalto insieme ad uno sputo sdegnato. È troppo lontana per fermare quelle bombe, e troppo lenta. Si ferma, osservando la nuvola di gas nero che si disperde nell’aria per avvelenare migliaia di innocenti come ci si ferma per ammirare un tornando in avvicinamento, o l’onda di uno tsunami, con gli occhi pieni di paura e di rabbia per non aver potuto fare nulla per non essere riuscita a fare nulla.