sabato 29 settembre 2018

Caleb e Jenny - pt.1


La rabbia non è aumentata, ma più esposta: dilatata, esasperata dalla lunghezza della notte, dalla persistenza della pioggia, dalle sigarette che bruciano dopo l’altre e non danno sollievo ai nervi tesi. Non danno sollievo gli occhi di chi la sta richiamando dentro, vieni a dare un’occhiata alle ferite, non da sollievo sapere che il pericolo per Clem Reed è passato e lei, la mano tra i capelli castani e bianchi, prende tempo. Si preoccupa di prendere tempo e senza pensarci inizia a raccontare.
« Ho conosciuto Caleb ad una manifestazione, sai ne avrai sentito pure sui giornali, quella con tutti quei morti, dove c’è stata l’esplosione.» Mastica il filtro, incespica nelle parole e non l’ha mai fatto, ma la voce non trema e la gola, per una volta, le lascia sollievo. « In quel momento non avevo il fattore rigenerante e anche a lui avevano rubato… una cosa. Gli avevano rubato una cosa, ecco tutto, e avevo la gamba rotta, e stavamo cercando di filarcela prima che la bomba deflagrasse. E inciampo. Inciampo come una cretina, capisci? Inciampo come una cretina e lo vedo lì, che tu dici che ho gli occhi da cerbiatto ma dovevi vederlo in quel momento, come mi guardava.» Forse c’è altro da fare ma in qualche modo lui ascolta, e capisce, lei gli apre la portiera e scivola sul sedile per farlo salire al posto di guida.
« Che poi non era la prima volta che lo vedevo, cioè, quella era davanti casa mia. No nel Desert, prima abitavo a Devil’s Pocket e prima ancora a China Town… davanti alla taverna di Wang. Ecco, lì. Con mio fratello e… un’altra volta.» Troppe persone troppi eventi da raccontargli. Troppi segreti. Lui capisce, e lei va avanti. Caleb: « ‘Digli chin chun chan’ mi sfotte questo ragazzino con la faccia da pesce lesso, c’era lui c’era Jenny e c’era un altro, Bill, non lo conosci. Lui se n’è andato.» Tradisce un certo affetto languido che le notizie di stanotte non hanno saputo nascondere, nel parlare di William, e forse lui se ne accorge e lei si accorge della sua occhiata, ma non dice niente e va avanti. « E non so come, non so perché, ci prendiamo tutti un biscotto della fortuna e poi andiamo a fare festa in un locale… non ti piacerebbero i locali che frequentiamo. Ma era la prima volta dopo tanto tempo che facevo amicizia così e non è più successo, io gente così non l’ho più incontrata.» Gli offre una sigaretta, parlando senza fermarsi.
Lui accetta, capisce che la notte è ancora lunga, e la storia non è finita.

(to be continued)

giovedì 27 settembre 2018

pretend to sleep



Per quanti eventi e circostanze tu possa trovarti ad affrontare nella vita, nulla sarà mai rassicurante come trovare ad addormentarti, in quel lasso di tempo tra i tre e nove anni (a volte un po’ di meno, a volte un po’ di più, a volte mai: dipende da nient’altro dalla fortuna che ci affida ad una famiglia amorevole o ad una che ci rifiuta o a nessuna), sul sedile posteriore dell’auto dei tuoi genitori o di chi si prende cura di te. Ignorante delle allarmanti statistiche sugli incidenti stradali, ci affidiamo alla guida di chi ci ama e le luci dei lampioni, il rollio della strada sotto gli pneumatici, l’ombra dei palazzi, la radio bassa - « abbassa ancora un poco, caro, non vedi che non tiene gli occhi aperti, sta per addormentarsi… »- formano una sorta di antica e rassicurante culla primordiale in cui solo i figli della generazione dell’asfalto e delle automobili abbiano avuto il privilegio di lasciarsi sprofondare prima di svegliarsi, come se nulla fosse accaduto, nel proprio letto.



Il ronzio dell’impianto dell’aria e quello dell’acqua e della console non riesce a nascondere nè a disturbare il silenzio in cui malvolentieri l’ha guardato dormire; ha accarezzato insistentemente tre alternative: la prima, qualcosa di semplice ed immediato e terribilmente facile da attuare: alzarsi dalla sedia in cui s’è rannicchiata, stretta in sè stessa come una naufraga su una zattera in un mare infestato dagli squali, rimettersi le scarpe, prendere la porta ed andarsene. La seconda, per cui avrebbe sicuramente avuto bisogno di un pizzico di coraggio in più ma terribilmente soddisfacente ogni volta che ci si soffermava, di quella soddisfazione cattiva di quando si pensa a qualcosa da arrabbiati, sarebbe stato svegliarlo bruscamente: v a t t e n e, Logan James Walker, ho cose da fare posti da vedere luoghi in cui correre e tu, è evidente, non puoi starmi dietro, mi metteresti i bastoni tra le ruote, non è giusto quello che mi stai facendo, non è giusto quello che ci stiamo facendo. La terza, spaventosa ogni volta che ci si soffermava di più che con la coda del pensiero e si scopriva a sorriderne, sarebbe stata raggiungerlo, e svegliarlo un po’ meno bruscamente.
Alla fine, senza accorgersene è sprofondata in uno di quei dormiveglia vigili e poco sereni, ad un certo punto si è trovata addosso una coperta che era sicura aveva lasciato nella sua casa di Devil’s Pocket e invece era lì e si è accartocciata in quella, senza ricordarsi del momento, del secondo o del minuto in cui aveva chiuso gli occhi e i suoi pensieri si erano tramutati in sogni confusi ma densi come melassa da cui riaffiorare troppo velocemente al primo movimento, al primo respiro, nel preciso istante in cui ha percepito Logan in piedi a guardarla. Ha pensato di fare come quando era piccola e di fingere di dormire ancora, che magari l’avrebbe svegliata - o lasciata in pace. Non è stato così, e lei non ha finto e non è riuscita a distinguere il momento distinto in cui ha aperto gli occhi e l’ha visto.
« Grazie.» 
L’ha visto disorientato e in qualche maniera infastidito - intimidito? Il punto - e quel punto Iphigenia Clark l’ha capito bene e solo in quel momento l’ha visto con chiarezza- è che Logan James Walker, dopo aver commesso lo strappo alla regola più azzardato che si potesse non essere concesso, era intimorito dalla ragazza (più insetto che persona) rannicchiata sulla sedia e con una coperta buttata addosso, le ginocchia ossute in gola e i piedi scalzi e gelidi, dagli occhi lucidi e il broncio ancora offeso.

Per la prima volta dopo tanto tempo si sente al sicuro e riesce ad abbandonarsi completamente tra le braccia di Galen Grace, mentre lui la deposita sul sedile posteriore di una qualche auto con la delicatezza con cui si maneggia una bomba, lasciandosi lentamente scivolare nell’oblio prima di perdere i sensi e dimenticarsi tutta la fatica, tutti i fantasmi, tutto il dolore. Quando riesce a fatica a riaprire la palpebra sana per sbirciarlo un’ultima volta, scopre che con le sopracciglia scure, il profilo greco, il naso diritto somiglia un po’ a suo padre, ed è proprio bello.

domenica 23 settembre 2018

L'ultima estate della mia giovinezza


« Vuoi vedere che so fare? »
Il ragazzino un po’ più grande fa un’evoluzione sull’altalena davanti ai suoi occhi ammirati e dice che una volta è riuscito ad andare al di là della barra orizzontale e a fare un g-i-r-o c-o-m-p-l-e-t-o, ma ora non può farglielo vedere; lei è lontana dall’età del cinismo e semplicemente ci crede come si crede a Babbo Natale e al Coniglietto Pasquale ed è ancora più entusiasta dai salti, dai giochi che Bobbie inventa anche per loro due; tra poco inizierà la scuola anche per lei e l’estate sta finendo, ma il suo papà l’ha portata al parco a giocare con le sorelle e gli altri bambini, basta che non lo dici a mamma. 

Nell’estate del 2027
Ho corso più veloce ho saltato più in alto, ho ballato fino a non sentirmi più il corpo e ho cantato a squarciagola; ho baciato un mucchio di ragazzi, li ho fatti innamorare e mi sono innamorata di tutte le persone che ho incontrato; ho perso persone, e ho perso la fiducia di persone che ho amato moltissimo e mi hanno amato moltissimo; ho stretto dei legami solidi come l’acciaio, una volta uno che conoscevo mi ha detto che il segreto degli antichi romani erano le strade, e i legami, e questa una persona era l’unico agente della SCF di cui mi sia mai fidata: quindi gli ho creduto; ho incasinato la vita delle persone che mi stavano vicino, e loro sono rimaste; ho spezzato il cuore a tutti; ho chiuso gli occhi troppe volte; ho rubato al museo e ne ho pagato le conseguenze quando sono stati rubati a me il tempo, il corpo, le speranze; ho pagato tutto quello che dovevo pagare e poi ho firmato per avere altri debiti; ho ucciso persone per disperazione e ho disperatamente cercato di salvarne altre, tutte; mi sono fatta esplodere un’auto in faccia; ogni giorno mi sono detta che era un nuovo giorno ed ogni notte, cercando di prendere sonno con gli occhi che bruciavano di tutto il pianto, mi sono detta: domani è un altro giorno.
Anche se l’estate è finita, domani è un altro giorno.

« Vuoi vedere che so fare? … »

venerdì 14 settembre 2018

Eroina


«Hai capito dov’è, no? La bomba che continui a cercare.»

Quando parla con l’autista lui non gli risponde, quel facciadimerda, e fa come se lei non esistesse; si adegua, Iphigenia, e appoggia le spalle alla parete del camioncino cellulare che non ha le finestre e non le fa vedere il mondo esterno - si accorge di pensarlo con un sospiro che sa di sollievo perchè farle vedere il cielo, comunque, sarebbe di una crudeltà assurda.
Il suo coraggio non vacilla quando la conducono all’interno del penitenziario con le manette ai polsi e alle caviglie e i bracciali anti-superumani a stringerle le braccia, e non vacilla mentre percorre un corridoio pieno di porte chiuse che sembra non finire mai, allungarsi passo dopo passo. Johnnie non è con lei e non l’ha ancora visto da quando era disperato su quell’ambulanza e ci prova, a chiedere, se sia stato già inserito nella realtà virtuale, perchè qualche minuto di ‘vantaggio’ potrebbe significare qualche giorno di differenza e le piange il cuore a saperlo lì, tutto solo. 
Il suo coraggio non viene meno ma le sue gambe vacillano e tremano e per un istante non la reggono più a vedere il lettino, le cinghie, il visore, le cannule dei neuroinibitori e neurotrasmettitori.
Il suo coraggio non viene meno ma vorrebbe urlare scalciare piangere e strillare, pur di non pensare al fatto che i prossimi giorni saranno sedici anni.
S e d i c i anni!
In sedici anni si fanno un mucchio di cose, puoi imparare cinque lingue o diventare uno chef, in sedici anni nascono e finiscono guerre, in sedici anni una ragazza impara tutto quello che c'è da camminare a baciare.
In sedici anni puoi capire che non ne vale la pena, che ti porterà solo risentimento, dolore e problemi; presto o tardi allontanerà da te le persone che ami, ti ritroverai da solo con addosso tutti i pesi delle tue scelte e la morte con il fiato sul collo. Puoi capire che non ne vale la pena e che hanno ragione loro. Non ne vale la pena e in sedici anni te lo dici cento volte: Mai più.
Basta. 
Hai un’alternativa, puoi scegliere.
Questa è l’ultima volta.
QUESTA è l’ultima volta.



"Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici. Scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai-da-te e il chiedetevi chi siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz, mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo di stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete il futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa cosí? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni.
Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?"

«La bomba è nella tua testa.»