lunedì 27 marzo 2017

Boogie Man

Il colosso Vazquez non tradisce la reputazione da semidio della strada che si è fatto nella testa piena di mostri ed eroi della ragazzina: è grosso, violento e cattivo. Quando il pugno si abbatte sulle sue costole non hanno il tempo di piegarsi che sono già fracassate, le schegge nei polmoni e nello stomaco, e ci pensa il calcio della pistola a farle perdere i sensi risparmiandole, oltre il dolore, la cocente umiliazione della sconfitta.




Si è svegliata troppe volte nell’arco di cinque giorni, perchè l'uomo nero continua ad inseguirla ogni notte.
L'uomo nero non è Vazquez.
L’uomo nero non è nemmeno davvero nero, è tutto bianchiccio, sembra di varichina.


Il resto del tempo da sveglia lo passa tentando di pensare cosa, di preciso, si è dimenticata.

giovedì 9 marzo 2017

Poligono di tiro




[...] La vestirà dei suoi gadget con la cura silenziosa con cui le metterebbe un velo da sposa, prima di portarla nel poligono e cominciare dalle basi. Come si mette la sicura. E più importante, come si toglie.

giovedì 2 marzo 2017

Delusional Barbie


Ha il rumore degli applausi scroscianti al Mutiny e della voce sicura di Mare, così piena rispetto alla sua, ancora tremolante come se avesse due anni e avesse appena imparato a parlare; non c’è un vero e proprio contrasto perchè lei è Mirabe Fucking Sherman e lei è una solo una ragazza dai vestiti improbabili che ha partecipato a una riunione, ma per un istante ha creduto che quegli applausi siano stati un po’ per lei; poi, la cocente sensazione di orgoglio puerile lascia spazio alla consapevolezza di essere stata fraintesa. 
Ha il sapore delle labbra di James Ross, in un contatto chiuso e casto come nei quadri del rinascimento, quasi sul limitare della bocca per non esagerare e per non cadere in tentazione; e la tentazione in questo caso è voltarsi ed assaggiarle un’altra volta invece che continuare a correre via dopo un’arrivederci che aveva il sapore di un addio; che lui potesse fraintendere che le parole che gli ha rivolto fossero tutte una scusa è un danno collaterale perfettamente previsto.
Ha il suono del tintinnio del cellulare che l’avvisa di un nuovo messaggio e ha paura che sia di nuovo Leclerq a continuare con la sua violenta invettiva; oramai creda quello che vuole, se lo lascia scivolare di dosso e non sembra nemmeno così crudele - se si arrabbia ci tiene e forse tiene un po’ anche a lei, e se significa allentare la morsa della fame d’affetto e di attenzioni che prova, va bene lasciarsi fraintendere.
Ha il rumore della voce di Scout distorta dal Voice Scrambler in risposta al suo biascicare; l’esorta a parlare e lei lo fa, poi le dice che sbaglia; con quell’aggeggio, con la faccia coperta, non si riesce a spiegare; è tutto quello che vuole da quando è a Philadelphia, è tutto quello che ha sempre voluto: è la stessa sensazione che, bruciante e mutevole, prova da tutta una vita; quando non è riuscita a salvare l’uomo sulla sedia a rotelle, quando ha pensato seriamente di entrare alla scuola per superumani, quando ha scoperto di essere una di loro. E in un atto di fede così totalitario non c’è peggior colpa di far tremare la voce, di farsi fraintendere.

Ha il sapore della bottiglia di vodka a basso costo che ha comprato al 7/11 una notte all’una e che ha buttato giù durante una replica dei Muppets per stordirsi un po’; peggio - per vedere se era ancora in grado di stordirsi. La puntata era divertente, ma alla fine di quella bottiglia era più lucida e calma di prima - non era una sbronza zen, era come se avesse bevuto acqua. Ha aggiunto due birre, un liquore marroncino che ha trovato dietro un mobiletto. Proverà con le pasticche.
Un altro giorno.
Ha l’aspetto di Austin, perfetto, così puro; ha l’aspetto di Ross, cristallino ed integerrimo. E lei in mezzo, a non essere nè l’uno nè l’altro. E se il prezzo del loro amore è l’ennesimo fraintendimento, in mezzo ci si siederà contenta.


«Are you happy?»

sabato 25 febbraio 2017

Self Sacrifice



Secondo una versione del mito, a conoscenza del proprio destino Iphigenia decide di sacrificare sè stessa di sua spontanea volontà poichè, come mortale, non può andare contro il volere degli dei. Crede anche che la propria morte sia eroica, e che tutti i Greci ne trarranno salvezza. 


giovedì 16 febbraio 2017

Daddy Issues

Lei quella camicetta a nido d’ape proprio lo odiava. Sua nonna le aveva sempre amate, le cose a nido d'ape - non la nonna del Maine che erano costretti ad andare a trovare a tutte le feste comandate, l’altra. Quella con i capelli tinti di viola, i vestiti colorati e le borse di paillettes, ma comunque una gran signora piena di classe.
«Mi trucco non per piacere, ma per non dispiacere»
E si metteva il rossetto dello stesso colore dei suoi capelli con una precisione millimetrica in pochissimi secondi.
Lei i vestitini a nido d’ape li adorava e da ragazzina non aveva conosciuto praticamente altro, forse per questo detestava così tanto quella camicetta.
La serata procedeva alla grande; lo aveva capito perchè mamma, ingioiellata e grassa più che mai, era perfettamente ubriaca e tentava di flirtare con uno dei colleghi di papà che stava al gioco più per non indispettire il signor Clark che altro; lo aveva capito perchè delle sorelle, Allison era avvinghiata al suo fidanzatino Tom, Taahm come lo diceva lei, Taahm guance-di-velluto, Taahm con quegli orrendi baffetti asimmetrici, Taahm che provato goffamente ad abbracciarla troppo stretta e ad infilarle le mani sotto la gonna, una volta, e poi era scappato via borbottando qualche parola con le gambe strette. Ventun anni ed eiaculazione precoce, poor Taahm. L’hanno beccato a letto con il cugino, che non deve essere un granchè come presentazione alle feste dei Giovani Repubblicani. Allison era una maestra, nella frustrazione sessuale.
Candice, invece, era la migliore di tutti: faceva complimenti alle mogli, flirtava di nascosto con i mariti. Candice era intelligente molto più di lei e di Allison, che invece era considerata da tutti bella come un angelo, alta, bionda, formosa. Candice che va a legge a Yale e si lamenta delle manifestazioni, dei ‘safe space’, dei comitati di aggiornamento, che ledono il suo diritto allo studio, a spazi puliti, salubri, sicuri. Che una di ‘quelle’ per manifestare e protestare il fatto di non poter entrare nella sua stessa confraternita, ha finito per far evacuare l’edificio, mettendo a rischio tutte e alla fine nuocendo a sè stessa, perchè sono tutti privi di controllo quei 'mutanti', questa è la verità che a nessuno piace sentire; se non fossero così violenti, se non si comportassero da dissidenti antisociali, sarebbe più facile integrarli, ma con loro proprio non si può parlare, alzano la voce, sono violenti - non fanno bene alla loro stessa causa; e poi chissà perchè ci teneva tanto ad entrare alla Teta Alfa Teta, magari era pure lesbica.
Sì, Candice, come no. Era innamorata di te.

Aveva rubato gli orecchini di diamante di sua madre senza che se ne accorgesse, sfilandoli dal cassetto dei preziosi; con la faccia ancora umida delle manate d'acqua che si è gettata addosso per riprendersi da un bicchiere di vino che le ha annebbiato la mente ma non gli intenti apre semplicemente la mano, facendoli scivolare scivolare in una parabola perfetta nello scarico.
I gemiti soffocati e disperati che le arrivano dal guardaroba hanno il sapore di qualcosa che ha già visto e ha già sentito; sono i video che guarda di nascosto Candice, sono i suoni che non sente arrivare da un pezzo dalla camera dei genitori di notte, quando tende silenziosa l’orecchio.
Si sfila silenziosa le scarpe, scivolando sulla moquette del corridoio il più silenziosa possibile fino al guardaroba; dal buco scuro della serratura non vede niente; potrebbe essere chiunque, a emettere quei versi strozzati - come un omicidio, si dice; spinge piano la mano sulla serratura per emettere meno rumore possibile quando la apre di un solo spiraglio, solo per sbatterci l’occhio sopra e vedere. E vede.
Vede la luna piena del sedere bianco di suo padre che sbatte contro un corpo lungo e sottile che emette versi strozzati, come uno di quei pupazzetti pieni d’aria; una delle hostess della location, splendida, sorridente, i capelli biondi acconciati in una messa in piega dal sapore vagamente anni quaranta.
Il suo rossetto perfetto le è finito sulla guancia ed è spalmato tutto lungo il collo della camicia di mio padre.
Ricorda vagamente Allison.
Fottono in maniera nemmeno troppo concitata e passionale, con la stessa verve di uno che va al bagno, come se fosse un dovere. La ragazza finge di apprezzare questo dovere.
Si accorge di uno spiraglio di luce che da sul corridoio e illumina una stretta fetta di stanza del guardaroba, si accorge della fessura, si accorge di chi li sta spiando.
Si accorge e la guarda, stendendo un sorriso.

Contempla la mappa retro illuminata di Philadelphia e la immagina bruciare in uno scenario apocalittico di fine del mondo, mentre un’altra creatura biblica le parla; si volta verso di lui e alza la mano, cercando di capire se quella corona d’ossa punge davvero. 

Lo ama tanto da star male.

giovedì 9 febbraio 2017

Thirteen ways to look a blackbird

I 
Among twenty snowy mountains,   
The only moving thing   
Was the eye of the blackbird.   

{Avevano staccato la coda a quella lucertola per gioco; sua sorella, di sette anni più grande di lei, le stava facendo vedere come l’animaletto si contorceva, si dimenava impotente; cose che si vedono nei film degli anni ’70, che, a quei tempi, non facevano nessun effetto; l’animale lotta e affoga nel suo dolore - alla fine riesce a salvarsi, dimenandosi quel tanto che basta per scivolare via dalle dita di una ragazzina crudele che ride e la rassicura perché quella coda ricrescerà. Prendendola in giro, Effie piagnona.}

L’uomo si agita nell’acqua, muovendo le braccia alla stessa maniera, trascinato via da una corrente insensata che ha inondato strada, case, macchine, persone. Compreso il motorino che le era venuto addosso, spappolandole il braccio con cui ha cercato di pararsi la faccia; poco conta la rigenerazione, se sei vanitosa alla tua faccia ci tieni e non vuoi che un motorino ci finisca sopra. Tutta quella fatica, il fiotto di sangue caldo che le bagna il fianco, il mascara sulle guance, la corsa a perdifiato spingendo e strattonando la sedia a rotelle, la canzone biascicata tra le labbra a darle coraggio - i muscoli che si tendono, riallacciando le fibre tra di loro in maniera quasi più dolorosa di quando si sono strappate. 
È di nuovo su quella pedana a lagnarsi, accartocciata come una foglia bruciata, protestando contro qualcosa, contro qualcuno; contro il tempo tiranno, contro la debolezza e contro quella sedia a rotelle; contro quel qualcuno che ha causato tutto questo; contro sè stessa, perchè è salita per prima. È stata strattonata, si dice, e poi era meglio così, era più conveniente se non fossimo stati così sfortunati. Sfortunati che la sua mano sia scivolata all’ultimo, sfortunati per aver scelto proprio stasera, per uscire a divertirsi. Non lo sa nemmeno, se era uscito a divertirsi. Sa che quando alza gli occhi verso l’alto, una manciata di capelli ricci e un paio di occhi grandi su una faccia lunga la guardano sottosopra da una pedana di due piani sopra; fa una domanda ed è costretta a leggergli il labiale, perchè tra singhiozzi e fischio sordo tra le orecchie non sente nulla - in tutta risposta, però, in un primo momento è tentata di ringhiargli contro come una bestiola in pericolo perchè lo riconosce.

Prima che le due mani si stacchino, l’effetto comico è quello di due cani attaccati allo stesso guinzaglio che corrono in due direzioni opposte con un palo in mezzo; lui verso la salvezza, verso l’alto, lei contro il motorino che la lascerà ansante sull’asfalto pochi attimi dopo, a guardare lo scalpiccio dei piedi di molti, degli anfibi di lui. 
Non ha urlato a lui, alla base di quelle scalette - ma ha urlato aiuto, ha implorato, si è sbracciato come il fedele di una confessione apostolare si sbraccia ad un dio sordo. Non che abbia urlato a lui, ma lui c’era, poteva aiutarla.
E ora la guarda e le chiede se sta bene.

Quell’ombra d’aggressività che poteva esserle rimasta in corpo si spegne mansueta nel ricordarsi che, comunque, è tutta colpa sua. Che non doveva salire prima, che aveva tutta la forza di tenersi aggrappata per molto tempo, se fosse stato necessario, che è stata sciocca prima, egoista e codarda poi.
Si spegne debole, facendole nascere dentro una gemma di disgusto di sè di cui, fortunatamente, per ora non si accorge. Si spegne in un sorriso intimo, che cerca conforto e lo trova.
Lo trova sotto forma di una sigaretta che accende l’altra. Ciao Effie. Lo trova sotto forma di una pasticca gialla su cui è disegnato uno smiley con gli occhi a forma di X. Ciao, Murphy.
Non importa, è solo per stavolta, non lo dirò a nessuno. Le brave ragazze non lo fanno ma sono così stanca, così triste e così stanca, e riempirà la mia testa di luce.
Lo trova sotto forma di una poesia abbastanza struggente, che può arrivare anche ad una mente semplice come la sua. Sotto forma di dita che le stropicciano i capelli sciogliendo le trecce sfatte e disordinate - e lei, al contrario del solito, se lo lascia fare docile come un gatto affamato. La poesia sembra un haiku, ma lei non conosce gli haiku e questo non lo sa: ricorda, però, le pitture giapponesi che ha visto una volta in un museo in tv, la luna e il merlo e il vento e i kanji ordinati tutti in fila.
Sarà una lunga notte.

XII 
The river is moving.   
The blackbird must be flying.   

XIII 
It was evening all afternoon.   
It was snowing   
And it was going to snow.   
The blackbird sat   
In the cedar-limbs.

Nonostante il fallimento, quella gemma che è nata dentro di sè non è abbastanza per fermarla.
Però.
Vomiterà molto. 

sabato 4 febbraio 2017

Day one

Ross ha quel sorriso mellifluo gentile di quando non è lui, al di là dello specchio del bagno che chiude, lasciando cadere nel lavandino, per lo spavento, lo spazzolino su cui ha spremuto troppo dentifricio. Riprendendosi velocemente, scherza perchè non ci ha mai creduto sul serio a quella cosa che lui le ha detto in un paio di messaggi che ha dovuto cancellare, per questo la sua voce trattiene a stento una risatina.
- Parola d’ordine?
Era un dettaglio coperto dal fianco e lo vede in ritardo, quel braccio orrendo: è ricoperto di sangue ma anche sfibrato, un grumo di carne che non è più pelle, muscoli ed ossa: è rosso e pulsante, e stringe violentemente qualche ciocca di capelli biondi mentre il sorriso si trasforma in un ghigno. Dietro di lui, la cucina è in fiamme.
- Dov… dov’è Austin…?
La voce le muore in gola, e ciò che è peggio è che Ross, con quella sua voce graffiante e matura, risponde correttamente e pronuncia la parola d’ordine- prima di avventarsi su di lei.

Ha scelto una sveglia sgradevole perchè così si tira subito in piedi per spegnerla. 
Mentre mangia i fruit loops per colazione, e alla tv la signorina impomatata del tg parla ancora di qualcosa di terribile che sta per succedere, Austin alza al massimo il volume di una qualche canzone rock di fine degli anni ottanta ed inizia a cantare a squarciagola - lei è ancora troppo assonnata, ma ne segue i movimenti mentre mastica impigrita; non ha più che un paio di mutande e una maglietta dei cartoni addosso, perchè ha imparato in fretta che in quella casa è più al sicuro che nei suoi sogni; sorride, mentre si sveglia. 
Mettendosi a cucinare, oramai la canzone di Austin le è entrata in testa, e inizia a cantarla e ballarla mentre taglia la verdura per il risotto - la cosa non va bene perchè è costretta a buttare quasi una melanzana intera, tutta sporca del suo sangue quando s’è tranciata di netto un dito. Pazienza, si ricomincia.
Lascerà il pranzo al Mutiny e mentre lei esce, entra lo psichiatra che arriva in moto, con le mani tutte verdi, si toglie il casco su una testa piena di ricci. La saluta e le offre una sigaretta.

Passa da Old Town e anche se fa in modo di sfilarci davanti, non degna nemmeno di uno sguardo la scuola per supermutanti, ancora profondamente stizzita - come sanno essere solo le ragazzine. Ha fatto la scelta giusta e non se ne pente, ma è ancora indecisa se sentirsi in colpa o offesa, e non sa ancora se il torto l’ha inflitto o subito.
Esce per andare al lavoro come un tornado, Emma, alternando raccomandazioni varie con frasi affettuose che scambia tra lei, Rav e il suo fratellastro silenzioso che continua a sbirciare e controllare da lontano, con qualche occhiata nascosta; lui si piazza sul divano a vedere la tv e non risponde al suo invito ad andare al parco a portare a far stancare il cucciolo, a tirargli il bastone, suonare a palla, suonare la chitarra. Fare cose da ragazzini.
Seduta su quella panchina, ha modo di pensare. Non che non lo faccia abbastanza spesso, tra i suoni che costituiscono la sua giornata, ma mentre suona la chitarra, controlla la newsfeed distrattamente sul cellulare - ma il monologo di Birken lo sente tutto nemmeno fosse un rito religioso, è perfino meglio del solito ed è ohmygawd così brillante e poi finalmente qualcuno che dica le cose come stanno. Non arrivano messaggi - meglio così, si dice mentre mastica una delusione cocente ed umiliante.

Magari s’è fatta solo condizionare con tutte queste storie, ma è anche vero che tutti dicono una cosa diversa; i ‘good guys' della YGS e dell’informazione ammettono il pericolo, ma promettono che non ci saranno ripercussione sugli innocenti - *come te*, aggiunge la vocina nella sua testa, specie quando parla con persone come Connor, specie quando parla con persone come Jimmy, che si alternano a considerarla una stupida, una vittima o semplicemente l’ennesima persona da salvare.
Poi c’è Ross, che le soffia in faccia la verità ma la fa a cantare comunque; c’è Austin che, come lei, non si accorgerebbe se il mondo finisse - a diciott’anni la situazione è già abbastanza disperata così, grazie.
- Dream a Little Dream of Me…
- Eh?
Trangugiando velocemente i suoi noodles di soia, Austin la guarda perplesso, interrompendo i suoi sogni romantici malriposti in una domanda che è molto più terrena e materiale di quanto si aspettasse. La curva sotto il naso che scivola verso le labbra è ipnotizzante - è bellissimo.
- Doris o Ella, Effie? Quale delle due preferisci?
Lei ci pensa su, mugugnando quanto non sia facile, un po’ come se il biondo l’avesse appena sottoposta ad un quiz a premi, in palio un milione di dollari e la sua approvazione scintillante; lo guarda quasi con ansia, come se ci fosse una risposta esatta e lui la sapesse. Si scorda che quella è la parola d’ordine per assicurarsi che tutti siano proprio loro stessi - si scorda perfino dell’esistenza dei doppi/cloni, della realtà parallela, della fine del mondo e perfino del simbionte che se la voleva mangiare; si scorda dei due bravi ragazzi della YGS che ha un po’ preso in giro - ma ha fatto la scelta giusta, si ripete. Si scorda di Birken e della sua voce roca da scotch con ghiaccio, che non potrebbe berlo e lui è ugualmente proibito. Si scorda del volto sorridente di Emma, delle sue rassicurazioni, del coraggio e delle sue loubotin dalla suola rossa - del cagnetto e del suo fratello silenzioso. Si scorda di un paio di mani gelide che gli rinfrescano una tazza di cioccolata calda, di un paio di mani verdi che si tolgono un casco da moto, di dita tremanti e nervose che solo per uno scossone lasciano cascare una sigaretta non ancora accesa in un tombino, di una mano che le si posa sulla guancia prima di darle un bacio che lei ha rifiutato.
Ci sono solo lei, Ross e Austin attorno ad un tavolo come una famiglia e la domanda a cui il biondo sta ancora aspettando risposta.
Sorride. Questa notte andrà a letto piena di stanchezza e di sbadigli, soddisfatta.

- Ella Fitzgerald.
Dall’altro lato dello specchio del bagno, Ross ghigna come non ha mai fatto prima.


Of the malice of a Father


Iphigenia e sua madre furono portate in Aulide sotto il pretesto del matrimonio con l’eroe Achille; in molte versioni della storia, la fanciulla rimase all’oscuro di essere la vittima di un sacrificio fino a che non scoprì a sue spese che l’altare a cui era giunta non era nuziale.