sabato 4 febbraio 2017

Day one

Ross ha quel sorriso mellifluo gentile di quando non è lui, al di là dello specchio del bagno che chiude, lasciando cadere nel lavandino, per lo spavento, lo spazzolino su cui ha spremuto troppo dentifricio. Riprendendosi velocemente, scherza perchè non ci ha mai creduto sul serio a quella cosa che lui le ha detto in un paio di messaggi che ha dovuto cancellare, per questo la sua voce trattiene a stento una risatina.
- Parola d’ordine?
Era un dettaglio coperto dal fianco e lo vede in ritardo, quel braccio orrendo: è ricoperto di sangue ma anche sfibrato, un grumo di carne che non è più pelle, muscoli ed ossa: è rosso e pulsante, e stringe violentemente qualche ciocca di capelli biondi mentre il sorriso si trasforma in un ghigno. Dietro di lui, la cucina è in fiamme.
- Dov… dov’è Austin…?
La voce le muore in gola, e ciò che è peggio è che Ross, con quella sua voce graffiante e matura, risponde correttamente e pronuncia la parola d’ordine- prima di avventarsi su di lei.

Ha scelto una sveglia sgradevole perchè così si tira subito in piedi per spegnerla. 
Mentre mangia i fruit loops per colazione, e alla tv la signorina impomatata del tg parla ancora di qualcosa di terribile che sta per succedere, Austin alza al massimo il volume di una qualche canzone rock di fine degli anni ottanta ed inizia a cantare a squarciagola - lei è ancora troppo assonnata, ma ne segue i movimenti mentre mastica impigrita; non ha più che un paio di mutande e una maglietta dei cartoni addosso, perchè ha imparato in fretta che in quella casa è più al sicuro che nei suoi sogni; sorride, mentre si sveglia. 
Mettendosi a cucinare, oramai la canzone di Austin le è entrata in testa, e inizia a cantarla e ballarla mentre taglia la verdura per il risotto - la cosa non va bene perchè è costretta a buttare quasi una melanzana intera, tutta sporca del suo sangue quando s’è tranciata di netto un dito. Pazienza, si ricomincia.
Lascerà il pranzo al Mutiny e mentre lei esce, entra lo psichiatra che arriva in moto, con le mani tutte verdi, si toglie il casco su una testa piena di ricci. La saluta e le offre una sigaretta.

Passa da Old Town e anche se fa in modo di sfilarci davanti, non degna nemmeno di uno sguardo la scuola per supermutanti, ancora profondamente stizzita - come sanno essere solo le ragazzine. Ha fatto la scelta giusta e non se ne pente, ma è ancora indecisa se sentirsi in colpa o offesa, e non sa ancora se il torto l’ha inflitto o subito.
Esce per andare al lavoro come un tornado, Emma, alternando raccomandazioni varie con frasi affettuose che scambia tra lei, Rav e il suo fratellastro silenzioso che continua a sbirciare e controllare da lontano, con qualche occhiata nascosta; lui si piazza sul divano a vedere la tv e non risponde al suo invito ad andare al parco a portare a far stancare il cucciolo, a tirargli il bastone, suonare a palla, suonare la chitarra. Fare cose da ragazzini.
Seduta su quella panchina, ha modo di pensare. Non che non lo faccia abbastanza spesso, tra i suoni che costituiscono la sua giornata, ma mentre suona la chitarra, controlla la newsfeed distrattamente sul cellulare - ma il monologo di Birken lo sente tutto nemmeno fosse un rito religioso, è perfino meglio del solito ed è ohmygawd così brillante e poi finalmente qualcuno che dica le cose come stanno. Non arrivano messaggi - meglio così, si dice mentre mastica una delusione cocente ed umiliante.

Magari s’è fatta solo condizionare con tutte queste storie, ma è anche vero che tutti dicono una cosa diversa; i ‘good guys' della YGS e dell’informazione ammettono il pericolo, ma promettono che non ci saranno ripercussione sugli innocenti - *come te*, aggiunge la vocina nella sua testa, specie quando parla con persone come Connor, specie quando parla con persone come Jimmy, che si alternano a considerarla una stupida, una vittima o semplicemente l’ennesima persona da salvare.
Poi c’è Ross, che le soffia in faccia la verità ma la fa a cantare comunque; c’è Austin che, come lei, non si accorgerebbe se il mondo finisse - a diciott’anni la situazione è già abbastanza disperata così, grazie.
- Dream a Little Dream of Me…
- Eh?
Trangugiando velocemente i suoi noodles di soia, Austin la guarda perplesso, interrompendo i suoi sogni romantici malriposti in una domanda che è molto più terrena e materiale di quanto si aspettasse. La curva sotto il naso che scivola verso le labbra è ipnotizzante - è bellissimo.
- Doris o Ella, Effie? Quale delle due preferisci?
Lei ci pensa su, mugugnando quanto non sia facile, un po’ come se il biondo l’avesse appena sottoposta ad un quiz a premi, in palio un milione di dollari e la sua approvazione scintillante; lo guarda quasi con ansia, come se ci fosse una risposta esatta e lui la sapesse. Si scorda che quella è la parola d’ordine per assicurarsi che tutti siano proprio loro stessi - si scorda perfino dell’esistenza dei doppi/cloni, della realtà parallela, della fine del mondo e perfino del simbionte che se la voleva mangiare; si scorda dei due bravi ragazzi della YGS che ha un po’ preso in giro - ma ha fatto la scelta giusta, si ripete. Si scorda di Birken e della sua voce roca da scotch con ghiaccio, che non potrebbe berlo e lui è ugualmente proibito. Si scorda del volto sorridente di Emma, delle sue rassicurazioni, del coraggio e delle sue loubotin dalla suola rossa - del cagnetto e del suo fratello silenzioso. Si scorda di un paio di mani gelide che gli rinfrescano una tazza di cioccolata calda, di un paio di mani verdi che si tolgono un casco da moto, di dita tremanti e nervose che solo per uno scossone lasciano cascare una sigaretta non ancora accesa in un tombino, di una mano che le si posa sulla guancia prima di darle un bacio che lei ha rifiutato.
Ci sono solo lei, Ross e Austin attorno ad un tavolo come una famiglia e la domanda a cui il biondo sta ancora aspettando risposta.
Sorride. Questa notte andrà a letto piena di stanchezza e di sbadigli, soddisfatta.

- Ella Fitzgerald.
Dall’altro lato dello specchio del bagno, Ross ghigna come non ha mai fatto prima.


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