sabato 9 giugno 2018

Sic ego nec sine te nec tecum vivere possum





Lottano tra loro e tirano il mio debole cuore in opposte direzioni
l’amore e l’odio ma (penso) vince l’amore.
Ti odierò se potrò; altrimenti, ti amerò controvoglia:
anche il toro non ama il giogo che porta, eppure porta il giogo che che odia.
Fuggo dalla tua infedeltà, ma mi riporta indietro la tua bellezza;
detesto la tua condotta colpevole,ma amo il tuo corpo.
Così non riesco a vivere nè con te nè senza di te,
e mi sembra di non sapere che cosa voglio davvero.
 Vorrei che tu fossi meno bella o meno impudica: 
una bellezza così incantevole non si accorda con costumi corrotti. 
Le tue azioni meritano l'odio, il tuo bel viso induce all'amore: 
o me infelice, esso è più potente delle tue colpe!
Rispàrmiami, te ne prego, per i diritti del letto che ci unisce, 
in nome di tutti gli dèi, che spesso si lasciano ingannare da te, 
in nome della tua bellezza, che per me ha potere divino, 
in nome dei tuoi occhi, che hanno conquistato i miei!
Comunque ti comporterai, sarai sempre mia; tu scegli soltanto 
se vuoi che io ti ami perché anch'io lo desidero, oppure perché vi sono costretto!
Piuttosto alzerei le vele e mi affiderei al soffio dei venti 
e vorrei una donna che, s'io non volessi, mi costringesse ad amarla.

(Publius Ovidius Naso, Amores, 3, 11 b)


domenica 3 giugno 2018

Il mondo non è finito


‘ Ciao, siamo Effie - e Austin!- e questa è la nostra segreteria telefonica, se non avete niente di meglio da fare lasciate un messaggio…’
‘ Te l’ho detto mille volte di tenere il telefono vicino e... ’
Iphigenia si scapicolla giù per le scale, rotola per gli ultimi gradini e afferra al volo il telefono per rispondere prima che Ross Kelly possa finire di pronunciare la frase. Ha ancora gli occhi di sonno, nessun postumo della sbornia che ha preso ieri notte e ancora in maglietta e mutande - tutto rosa, dopo un piccolo incidente con la lavatrice. Fuori fa un caldo che la pelle cuoce, l’orologio da cucina segna le dieci ma il sole non si vede più, da quando ci sono i maledetti alieni c’è solo il grigio del metallo. Einstein fuori abbaia come un pazzo e se la sta prendendo con un’insetto, o il postino, o chissà cosa.
Ross Kelly non vuole lasciar trasparire il suo nervosismo mentre parla del Sud America, non parla di problemi e non parla di lavoro. Si assicura che lei e Austin (dovunque sia, qualsiasi cosa stia facendo con quel crucco del cazzo, va bene tutto, lo vedi stasera? meglio. Digli che è un coglione) stiano bene, mangino, cosa ha detto la scuola, ma quindi il diploma ve lo danno pure se hanno chiuso prima. Se vive ancora con quel ragazzo, e dove sta ora. Lei sorride, dando rapidamente un’occhiata al cellulare. Due messaggi.
- Ho una cosa semplice, un’estrazione. Per mezzogiorno sono a casa, pensa te al mangiare
E poi:
- Guarda che me lo ricordo che ieri sei stata una stronza, mi vendico di brutto quando torno ♥︎♥︎
La loro casetta storta, incastrata nelle Tasche del Diavolo tra mille altre è diroccata e tutta rotta ma calma, silenziosa e tranquilla, oggi più che mai, e leggere quelle parole le fa una gran tenerezza pure se il sole non si vede più, da quando ci sono i cazzo di alieni.
Iphigenia si incastra il cordless tra il collo e la spalla e inizia a preparare la colazione in quel campo di battaglia che è la loro cucina. La guerra sembra lontana, la guerra È la distrazione e questa è la vita vera, quindi si dedica alle sue uova, al suo bacon, ai mirtilli mentre Ross Kelly le racconta di questa famiglia che si è temporaneamente trasferita da loro dopo che li hanno salvati durante una missione. SI occupavano di gamberetti, poi i narcotrafficanti… non sente il resto, Einstein continua ad abbaiare davanti la finestra e lei ha finito per tagliarsi la mano col coltello, mugolando una bestemmia dal dolore.
« Effie, linguaggio…»
« Einstein! Che cazzo, piantala, bello! » 
« Effie…! » Ross ride. Gli manca. Si mancano. 
Le chiede se va tutto bene e lei risponde che si è tagliata col coltello. Sta’ attenta, le risponde Ross e ride ancora, e ride anche lei.
Si avvicina alla finestra per cercare di capire a cosa stia abbaiando Einstein con così tanta foga, se un postino o un uccello ma gli occhi si schiudono in una perplessità muta quando si accorge che non ci sono uccelli fuori, se non un paio che sono caduti stecchiti dall’albero in giardino, zampe all’aria. Fuori non c’è un rumore.
La conversazione telefonica inizia a diventare disturbata, non capisce più le parole di Ross ‘mi senti? Mi senti? Cazzo, qui ci dovrebbe essere campo completo…’ ma oramai è solo una voce robotica, sfocata, e quasi sovrappensiero, oramai immersa in una preoccupazione stranita, va a ricercare il particolare che prima aveva bypassato: l’orologio di casa segna le dieci, quello del cellulare le due. ‘Per mezzogiorno sto a casa’. Non c’è campo, non c’è segnale, non c’è wifi. Non c’è più la voce già allarmata di Ross Kelly dall’altra parte del telefono ma il verso ritmico e deprimente della conversazione caduta, come nei film, e si lascia cadere il telefono dalla spalla quando capisce che il sangue dalla mano sta gocciolando sul pavimento e sui suoi piedi scalzi perchè il taglio non s’è richiuso.
Il taglio non s’è richiuso.
Oltre all’abbaiare di Einstein si è unito l’antifurto di tutte le macchine, una luce bianchissima. Poi un boato e tutti i vetri della finestre che le esplodono addosso, in faccia.


In questo giorno di festa nessuno la nota ma nonostante tutto, non è ancora abituata a sentirsi tutti gli occhi addosso e per questo si copre, con la felpa, con il berretto e con la sciarpa anche se fanno venticinque gradi. Si copre, ma non basta mai e vorrebbe sul serio essere invisibile.
L'ultima volta che è stata qui, nevicava ed è sgattaiolata dentro come i ladri, seguita da una persona che non aveva altra colpa che preoccuparsi per lei, e lei l'ha accusato di tutto, urlandogli in faccia tutta la sua impotenza, tutta la sua rabbia.
Ora, al posto della baracca in rovina che un tempo era casa sua, la casa di Ross Kelly e di Austin Hoover e ad un certo punto anche di James Ross, ci sono i tavolini e le sedie e gli ombrelloni di un  grazioso ristorantino vegetariano, con tanti posti all'aperto e un menù nemmeno troppo caro per le sue tasche. Prende esattamente lo stesso lotto all'angolo, quindi è facile immaginarsi che dove c'era la cuccia di Einstein, ora c'è una famiglia che pranza tutti insieme, e ride. Dove c'era l'albero, un cameriere sta aprendo un ombrellone lamentandosi che di lì a poco, verrà a piovere. Dove c'era la cucina, la scritta sul vetro invita a provare tutti gli ingredienti a chilometro zero. E dove stava in piedi lei quando tutto è finito i proprietari, una giovane coppietta di non più di trent'anni a testa, lei visibilmente incinta, ride ed è felice del proprio successo.
Odiarli è difficile, con questa musica, con questo spirito di festa anche sotto la pioggia.
Odiare il suo fautore è difficile, visto che l’ha accolta in casa, visto che è stato il primo a farle vedere che il mondo non è finito.

Il mondo non è finito.
E va avanti anche senza di lei.